In un recente incontro a Cossano Belbo è stato presentato il quadro economico e i dati produttivi del settore. Nel dibattito, moderato da Bruno Vespa, in primo piano l’annosa questione – rimasta anche questa volta irrisolta - di come migliorare immagine, prezzi e distribuzione della denominazione
L’incontro di venerdì 25 maggio scorso a Cossano Belbo presso la barricaia delle Cantine Fratelli Martini Secondo Luigi aveva un po’ l’aria degli “stati generali” del pianeta Asti e Moscato. Tra palco e platea, infatti, erano presenti molti protagonisti del settore, per assistere a un dibattito che vedeva tra i suoi interpreti Jean Jaques Dubau, direttore generale Italia Gruppo Davide Campari, Mario Guidi, presidente nazionale di Confagricoltura, Gianni Marzagalli, presidente del Consorzio dell’Asti Docg, Gianni Martini, presidente della Fratelli Martini e Claudio Sacchetto, assessore regionale all’Agricoltura, con il compito di stimolare la conversazione affidato al giornalista televisivo Bruno Vespa.
La curiosità si avvertiva nell’aria, anche per i recenti avvicendamenti verificatisi tra Presidenza e Vicepresidenze del Consorzio dell’Asti.
In questa occasione, Giorgio Bosticco, direttore del Consorzio dell’Asti Docg, ha introdotto al mondo del Moscato e dell’Asti con una relazione che ha posto in chiaro i dati economici e produttivi del settore (vedi box più sotto). E’ poi seguito il dibattito.
Da un lato i nomi citati in precedenza (Jean Jaques Dubau del Gruppo Campari, Mario Guidi di Confagricoltura, Gianni Marzagalli del Consorzio dell’Asti, Claudio Sacchetto, assessore regionale all’Agricoltura e Gianni Martini, presidente della Fratelli Martini. Dall’altro, il giornalista Bruno Vespa, che ha dimostrato tutta la sua attenzione ai temi della vitivinicoltura.
Anzi, è stato proprio Vespa a vivacizzare il confronto, dopo che i vari partecipanti avevano tessuto gli elogi della Commissione Paritetica che da anni gestisce l’Accordo interprofessionale.
Quando si è passati dai temi viticoli ed enologici a quelli del mercato e dell’immagine, i nodi sono venuti al pettine. In particolare, Vespa ha messo a nudo una delle criticità di questo settore, quello cioè dell’immagine percepita dell’Asti, piuttosto bassa, che di fatto ne limita la distribuzione soprattutto ai canali moderni, mentre l’HoReCa resta poco attratta da questo prodotto.
“A fine pasto, con il dessert – a sottolineato Vespa – la soluzione ottimale non è certo rappresentata dagli spumanti secchi o dagli Champagne. E questo io non perdo occasione per predicarlo. Ma come volete che un certo tipo di consumatore metta da parte i prodotti secchi per passare all’Asti con i prezzi così bassi a cui è venduto?”
Una domanda alla quale non ci sono state risposte convincenti. E così Vespa ha nuovamente calcato la mano: ”Dovete creare anche all’interno del settore Asti delle differenze molto più sostanziali di prezzo, dovete aumentare i prezzi se volete che l’immagine cresca.”
La risposta “Se aumentiamo i prezzi, soprattutto in corrispondenza delle festività di fine anno quando si vende la maggior parte delle bottiglie di Asti, avremo sicuramente un drastico calo dei volumi.” ha dimostrato in concreto l’empasse in cui si trova questo mondo produttivo.
Il collegamento in videoconferenza con Paolo De Castro, già ministro dell’Agricoltura nel governo Prodi e attualmente presidente della Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale del Parlamento Europeo, ha di fatto chiuso la discussione.
Altri temi sono venuti alla ribalta. In particolare, quello della rischiosa liberalizzazione degli impianti che potrebbe creare gravi problemi di sviluppo proprio alle zone più vocate se prima del 2015 non verrà drasticamente modificato l’orientamento europeo.
Il dibattito su immagine, prezzi, distribuzione e qualità percepita dell’Asti e del Moscato d’Asti è così rimandato a una prossima occasione.
Il quadro economico
In un Piemonte che nel 2011 ha prodotto 2.800.000 ettolitri, il settore Moscato e Asti ne ha portato 834.000 (il 30%). Un elevato grado di produttività se pensiamo che le imprese viticole sono 4.200, il 20% circa del totale piemontese (circa 20.000) e la superficie vitata è poco meno di 10.000 ettari, poco più del 20% rispetto ai 46.000 dell’intera regione. Se poi il confronto si fa sul valore dell’uva, la percentuale sale di più, fino al 40%.
Sul patrimonio viticolo – oggetto di una recente indagine – sono emersi alcuni elementi di grande interesse: l’età media dei vigneti è di circa 30 anni, con una quota elevata (un migliaio di ettari) che supera i 60 anni e un’altra quota (circa 1.200) che sta tra i 40 e i 60 anni. Questo è la conseguenza del blocco degli impianti che, dal 2002, ha ingessato la situazione viticola, ma che presto dovrà essere affrontato per ringiovanire la struttura e recuperare quei 350-400 ettari che sono stati cancellati dal patrimonio viticolo a seguito del Piano controlli.
Dato interessati sono quelli dell’altitudine e della pendenza: il 74% della zona produttiva sta tra i 200 e 400 metri sul livello del mare, mentre il 17% sono i vigneti che superano i 400 metri.
4.000 ettari hanno una pendenza che supera il 30% (17 gradi) e addirittura sono 337 gli ettari che superano il 50% (27 gradi), dove non è possibile praticare alcun tipo di meccanizzazione.
In proposito, la Commissione Paritetica che gestisce l’Accordo del Moscato sta lavorando per attribuire a questi vigneti la qualifica di “Sorì”, un modo per riservare loro un sistema specifico di calcolo della remunerazione economica in sede di trattativa per le uve Moscato.
Altro elemento è la polverizzazione che caratterizza questi 337 ettari: composti da 2.600 particelle catastali, appartengono a circa 800 viticoltori, ognuno dei quali ne detiene meno di mezzo ettaro.
Interessante anche l’analisi del tessuto aziendale: il 29% delle aziende conferisce le loro uve alle cantine sociali, il 60% vende a industriali o loro vinificatori e solo il 3% vinifica in proprio le uve.
Sono soltanto 2 le aziende viticole che hanno tra 40 e 60 ettari di Moscato, 7 quelle tra 30 e 39 e 119 quelle tra 10 e 30. I numeri crescono in modo vertiginoso nelle ultime due classi: sono 1.500 i viticoltori con superficie a Moscato tra 2 e 10 ettari e addirittura 2.600 quelli con meno di due ettari.
Quanto al vino, sui 2 miliardi e poco più di bottiglie di spumante prodotte nel mondo, i 107 milioni dell’Asti e Moscato d’Asti ne rappresentano il 4%. In particolare, nel 2011 Asti e Moscato d’Asti hanno superato la soglia dei 100 milioni di bottiglie: i 106.800.000 totali rappresentano un aumento del 15,5% rispetto al 2010 (92,5 milioni di pezzi) e sono formate da 81.200.000 bottiglie di Asti (+ 12% del 2010) e da 25.600.000 di Moscato d’Asti (+ 29% sull’anno prima).
Sono 72 le case spumantiere che fanno Asti: le prime 5 detengono l’80% del totale, le seconde 5 il 10% e le restanti 62 il rimanente 10%. Quanto al Moscato d’Asti, in totale i produttori sono 183. I numeri anche in questo caso sono di pertinenza delle grandi case spumantiere, mentre ai produttori diretti resta una quota molto limitata.
Infine i mercati: l’Asti segna una presenza prevalente in Europa (58% più l’Italia con il 19%). Le Americhe seguono con il 18% e infine Asia e Oceania si dividono il restante 5%. Il paese dai consumi maggiori resta la Germania (circa il 25% del totale).
Tutto diverso l’andamenti dei mercati per il Moscato d’Asti, che parla in prevalenza americano (59%), mentre l’Europa si accontenta del 18% e l’Italia del 16%. Il restante 7% è appannaggio di Asia e Oceania.
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