Il divieto di frizzantatura e spumantizzazione fuori zona sull’Igp Puglia ha assestato un duro colpo a una filiera fino a ieri florida. E che non ha prospettive concrete. Ecco il racconto amaro di chi Lambrusco e Moscato lo vendeva bene e si è ritrovato senza più nulla
Rosario Faggiano
Trinitapoli (Bat), Cerignola (Fg). Tracollo del Lambrusco Igp Daunia e del Moscato Igp Puglia. Scade la deroga per la vinificazione al di fuori della zona di produzione ed i viticoltori subiscono una perdita di profitto fino al 75%. Sono circa 200 i piccoli produttori delle province di Foggia e Bat (Barletta, Andria e Trani) interessati dal vincolo imposto dalla nuova Ocm vino, che ha prima dettato norme ferree rispetto all’obbligo di vinificazione nelle aree geografiche Igp e poi introdotto una deroga a tale obbligo fino al 31 dicembre 2012. Vincolo definitivamente sancito a livello nazionale con il decreto legislativo n. 61/2010 (articolo 14, comma 9) e dal successivo aggiornamento dei disciplinari Igp Daunia e Igp Puglia (articolo 5). Dal 1° gennaio 2013, in sostanza, non è più possibile vendere agli imbottigliatori di fuori regione partite di vino di Lambrusco e Moscato da destinare alla presa di spuma in autoclave per la successiva commercializzazione con denominazione Igp.
Declassamenti o Mcr
Con la normativa ormai vigente, la frizzantatura o la spumantizzazione, considerata operazione caratterizzante di vinificazione, può avvenire soltanto nella zona di produzione, allargata a tutta la Puglia. Un danno per gli agricoltori stimabile in diversi milioni di euro. Quasi l’intera produzione Igp dell’area – quantificata fino al 2012 intorno ai 46.000 quintali di uva Lambrusco e ai 51.000 quintali di uva Moscato – veniva infatti trasformata (in mosto o in vino) per essere poi venduta sfusa alle cantine del Nord, soprattutto emiliano-romagnole. Diminuita drasticamente la richiesta con conseguente ridotta rivendicazione di vino Igp (appena un quarto rispetto al 2012), nella campagna 2013 le uve Lambrusco e Moscato sono state pagate, in media, rispettivamente 28 e 25 euro a quintale (nel recente passato erano arrivate anche a 45 e 100 euro).
Il prodotto ottenuto dal Lambrusco è stato in gran parte declassato e venduto come vino da tavola, mosto concentrato per Aceto balsamico di Modena, concentrati per l’arricchimento e mosti desolforati; il Moscato, invece, è stato commercializzato e venduto sfuso (quasi esclusivamente al Nord) come “bianco aromatico” o come base per spumante comune. Insomma, con l’entrata in vigore della nuova Ocm, è finita una bella storia; una storia che nella Puglia settentrionale assicurava a tutti i viticoltori interessati un’adeguata remunerazione del loro lavoro, ma anche prosperità e prospettive di sviluppo per l’intero territorio.
Un mercato distrutto

“Per i nostri agricoltori – dice Giuseppe Colopi, direttore tecnico dell’Azienda agricola Candida di Trinitapoli – è stato un duro colpo. Molti di loro hanno investito in nuovi impianti di Moscato e Lambrusco. Ora, improvvisamente, non possono più contare su un mercato che era davvero florido e interessante per tutta la filiera. Quell’uva ormai è morta perché, in questa situazione, in Puglia non ha più prospettive”.
L’azienda vinicola Candida, proprietà dei fratelli Rosario e Leonardo Leone, è specializzata nella produzione di vino sfuso a livello industriale, destinato ai maggiori mercati nazionali (70%) ed internazionali. Mediamente lavora circa 240.000 quintali di uva all’anno, in gran parte acquistati dai piccoli produttori locali, di cui il 10% Lambrusco e il 7% Moscato. La rimanente produzione è rappresentata da uve di Troia, Cabernet, Sauvignon, Merlot, Montepulciano, Sangiovese, Malvasia e Bombino bianco.
“Da anni – aggiunge Colopi – puntiamo sulla qualità. E la produzione del Lambrusco di eccellenza, che per noi rappresenta una coltivazione tradizionale, è stata in passato la prima sfida che abbiamo affrontato e vinto. Noi abbiamo un’esposizione solare differente rispetto all’Emilia Romagna ed è anche per tale ragione che riusciamo ad avere un Lambrusco con 40 punti di colore. Per ottenere qualità, abbiamo cominciato a selezionare l’uva e a premiare, con un riconoscimento economico, gli agricoltori che portavano in cantina un prodotto perfettamente maturato e selezionato. Col tempo, lavorando dietro le quinte, siamo riusciti a soddisfare le esigenze di clienti con nomi blasonati. Per noi, che abbiamo un concetto di filiera, va bene così. E non importa se il nostro vino di qualità viene poi venduto in bottiglia da qualche colosso del Nord, l’importante è che ad ogni livello della filiera vi sia un giusto riconoscimento. A questo punto, però, con il divieto di presa di spuma fuori regione, un importante canale commerciale è stato tagliato. E l’economia locale ne ha risentito”.
Richieste azzerate
“L’anno scorso – precisa Antimo Di Lorenzo, agente in mediazione – ho venduto grossi quantitativi di Lambrusco e Moscato a singole aziende che usano il prodotto per l’imbottigliamento destinato a mercati nazionali ed esteri. Quest’anno non mi è stata richiesta nemmeno una damigiana di questo vino. Negli ultimi anni, dopo il periodo di assistenzialismo con gli aiuti comunitari per il ricorso massiccio alla distillazione ed arricchimenti vari, nell’intera area c’è stata un’inversione di tendenza. Adesso le nostre cantine puntano alla qualità per conquistare posizioni importanti nei mercati. Prima con lo sfuso e poi, in seguito, forse anche con l’imbottigliato, quando potremo disporre di un’efficiente rete commerciale nazionale ed estera. Noi, in questo momento, non siamo pronti per abbandonare il mercato dello sfuso per puntare a quello dell’imbottigliato. Non saremmo concorrenziali, né pronti per affrontare il mercato della bottiglia. Ecco perché il divieto di spumantizzazione e frizzantatura fuori zona del Moscato e del Lambrusco, se non dovesse essere trovata una soluzione al problema, potrebbe determinare per i nostri produttori la scelta obbligata della riconversione degli impianti”.
Poche prospettive
“Abbiamo perso una grande economia”. Questo è l’amaro commento di Leonardo Leone, titolare della cantina Candida, il quale evidenzia il grave danno subito dagli agricoltori a causa dei vincoli di vinificazione in zona. Secondo l’imprenditore, che accusa il mondo politico locale e regionale di essersi disinteressato della vicenda, la vendita al Nord del Lambrusco Igp Daunia e del Moscato Igp Puglia garantiva ricchezza all’intero territorio. “Gli agricoltori sono allo sbando – afferma – perché hanno perduto un’attività che andava bene, generava sicurezza economica e tanto movimento. Qualcuno, per motivi ignoti, ha voluto l’arresto di questa attività straordinaria. Gli imprenditori che venivano in Puglia per comprare il Moscato o il Lambrusco, acquistavano anche altre tipologie di vino. Chi non ritorna più giù, non prende né Moscato, né Lambrusco, né altri prodotti delle nostre cantine. I viticoltori avevano investito sui due vitigni, adesso dovranno ritornare al passato, senza più liquidità. Ma questa – conclude – è soltanto un pezzo di una storia che non riusciamo a capire”.
Posizioni contraddittorie

Lo spirito della nuova Ocm, in realtà, proprio attraverso l’imposizione della vinificazione nella zona Igp, sarebbe proprio quello di tutelare gli interessi locali garantendo il massimo del valore aggiunto agli operatori dell’area di produzione. Tale buon proposito, però, spesso si scontra con le realtà e le peculiarità concrete dei territori interessati. Antonio Angarano, amministratore dell’omonima cantina di Cerignola (200.000 quintali di uva annualmente lavorata), spiega: “A livello informale nessuno è favorevole alla spumantizzazione in zona. Quando si va sui tavoli istituzionali, invece, tutti pensano di salvaguardare il territorio con l’imposizione della vinificazione nell’area di produzione. E fra poco ci chiederanno anche l’imbottigliamento, perché non si sposti il prodotto da una parte all’altra. Alla fine, chi subisce le conseguenze è l’agricoltore. Ho sentito dire che verranno finanziati in Puglia dei centri per la presa di spuma: dal punto di vista economico non so se ciò porterà un concreto vantaggio. Se noi ci dobbiamo attrezzare con autoclavi, avremo costi di investimento, costi di mano d’opera e maggiori costi di trasporto in cisterne isobariche. Naturalmente, per rimanere concorrenziali rispetto alle altre produzioni di Lambrusco e Moscato del Nord, tutti questi costi – prosegue Angarano – dovranno andare a carico degli agricoltori che, a quel punto, saranno costretti a valutare l’opportunità di cambiare tipologia di coltivazione. Non c’è alternativa. Per uscire da questa situazione forse ci sarebbe solo la strada di una diversa interpretazione della normativa, ovvero considerare la presa di spuma non più una fase della vinificazione, ma un’operazione enologica successiva, da fare anche fuori regione. Oppure, un’altra via d’uscita potrebbe essere quella di includere anche il Lambrusco e il Moscato nell’elenco dei varietali, al fine di consentire la vinificazione in tutt’Italia”. Prospettiva a dir poco improbabile.
L’ articolo focalizza verità inopugnabili, la filiera vitivinicola Italiana per essere competitiva deve smettere di classificare i prodotti su base regionale. Moscato e Lambrusco sono delle eccellenze nazionali,riconosciute in tutto il mondo, è davvero stupido relegare la presa di spuma nei territori di produzione che nella maggioranza dei casi non è attrezzata nè tecnologicamente nè commercialmente. Il risultato è che l’essere amministrati da legislatori a dir poco ignoranti , provoca l’impoverimento non solo di chi lavora la terra ma anche dell’intera nazione.