Confagricoltura Asti ha di recente ribadito il proprio no a questa chiusura. In teoria però la possibilità di tappare in tal modo le bottiglie avrebbe dovuto già essere stata archiviata. Invece a rimettere tutto in discussione sembra essere stata un’inaspettata presa di posizione della Regione Piemonte...
di Giancarlo Montaldo
Il 17 giugno scorso, la Confagricoltura di Asti ha diramato una comunicazione stampa nella quale prendeva una dura posizione su una vicenda emersa negli ultimi giorni nel mondo della Docg Asti, con particolare riferimento al Moscato d’Asti. Diversamente da quanto si pensava, non era del tutto scongiurato il pericolo di vedere il tappo corona a chiudere le bottiglie di tale vino. “…Come una bibita gasata qualsiasi, una cola o un’acqua minerale”, ironizzava la nota di Confagricoltura.
Un fulmine a ciel sereno, visto che nei mesi scorsi erano state fatte le scelte relativa alle chiusure da utilizzare per il Moscato d’Asti.
Come chiedeva la legge 61 del 2010 sulle Denominazioni, dopo un serrato dibattito, la possibilità di tappare le bottiglie di Moscato d’Asti con il tappo corona era stata archiviata.
Un brusco ripensamento
A rimettere tutto in discussione sembra essere stata un’inaspettata presa di posizione della Regione Piemonte – e i maligni sostengono del neo assessore all’agricoltura – che avrebbe indirizzato al Comitato Nazionale la richiesta di non deliberare in merito al Disciplinare dell’Asti per quanto concerneva le chiusure per il Moscato d’Asti.
Una richiesta che di fatto smentiva – oltre al Consorzio dell’Asti – lo stesso Comitato Vitivinicolo Regionale, in seno al quale la decisione di escludere il tappo corona dalle chiusure del Moscato d’Asti era stata presa nella primavera 2014.
Un bel “pasticcio all’italiana” o se preferite “alla piemontese”, che rischia di rimettere in discussione una decisione già presa e di riproporre un tipo di chiusura – il tappo corona – che la stragrande maggioranza dei protagonisti della filiera giudica inadeguato al livello di immagine e di pregio del prodotto.
In particolare, ci ha insospettiti un passo piuttosto duro della nota di Confagricoltura, dove richiama i protagonisti della vicenda alle proprie responsabilità, scrivendo: “Non si può e non si deve, magari per fare piacere a qualche griffe o presunta tale, andare dietro alle mode e abbassare l’asticella della qualità del marketing…”
Un problema tira l’altro
Come spesso capita, un problema tira l’altro. Ed è quello che sembra capitare in questo caso.
L’antefatto starebbe nelle verifiche condotte nei mesi scorsi dal Consorzio e da altri organismi sui livelli di sovrappressione del Moscato d’Asti in bottiglia. Le regole attuali indicano in 2 atmosfere il massimo di sovrappressione all’immissione al mercato. Dai controlli, invece, sarebbero emerse alcune situazioni di inadempienza e anche con livelli di sovrappressione superiori addirittura a 4 Bar. Più di uno spumante, persino.
Ma la sorpresa maggiore sarebbe stata ancora un’altra: dai controlli sarebbe emerso che alcune di queste aziende in infrazione avrebbero sovrapposto al tradizionale tappo di sughero anche un tappo corona e lo avrebbero giustificato in nome di una più sicura tenuta della chiusura, in particolare in occasione di esportazioni verso paesi d’Oltreoceano.
Sarebbe grave se la presa di posizione della Regione Piemonte fosse la conseguenza di situazioni di questo genere: nasconderebbe il tentativo – peraltro maldestro – di difendere a posteriori delle vere e proprie infrazioni a norme ufficiali e condivise.
A parte questo, basterebbero due domande a mettere a nudo la verità: di quale ulteriore garanzia di chiusura avrebbe bisogno un Moscato d’Asti con livelli regolari di sovrappressione? E quali effetti potrebbe avere sull’immagine di questo vino l’uso generalizzato del tappo corona?
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