Il professore dell'Università di Firenze che ha collaborato alla stesura del Piano: "Espressa la raccomandazione ad adottare pratiche che limitino l'erosione del suolo e l'inquinamento delle falde, nient'altro. Non ci sono vincoli per i produttori perché questo non è uno strumento che possa vincolare”
di Patrizia Cantini
Firenze. La pubblicazione del Piano di Indirizzo Territoriale della Toscana, che prelude al piano paesaggistico regionale, ha scatenato un putiferio di polemiche tra i produttori di vino che vi hanno letto delle ulteriori restrizioni all’impianto di nuovi vigneti e al reimpianto di quelli vecchi.
Per cercare di capirne di più abbiamo incontrato Stefano Carnicelli, professore ordinario di Pedologia presso il Dipartimento della Terra dell’Università di Firenze. Carnicelli ha fatto parte del gruppo di lavoro che ha realizzato, in circa due anni e mezzo, la bozza del Pit presentata lo scorso luglio. La realizzazione del Piano ha visto impegnati sei diversi gruppi di lavoro, e quello del professor Carnicelli ha preso in esame la conformazione fisica del territorio, la sua geomorfologia, i rilievi, le risorse idriche e le specificità del suolo.
Le criticità del territorio
“Le principali criticità toscane sono la sicurezza idrogeologica e quindi i rischi di frane e di inondazioni e le risorse idriche, che se pure in Toscana risultino cospicue sono a forte rischio di inquinamento. La terza criticità riguarda invece l’erosione del suolo, visto che si tratta di un territorio prettamente collinare e montuoso con un’agricoltura che di conseguenza risulta nella stragrande maggioranza dei casi di tipo collinare.”
Questa la premessa di Carnicelli, che naturalmente riguarda non soltanto il vigneto ma tutta l’agricoltura in generale. Tuttavia, ammette Carnicelli, “la pratica agricola che più erode il suolo è proprio il vigneto perché classicamente è impiantato in pendenza e in Toscana in maniera principale a rittochino. L’estensione delle vigne avvenuta negli ultimi decenni per evidenti esigenze di meccanizzazione ha accentuato il problema dell’erosione, noto fin dagli anni Ottanta ma per il quale non sono stati messi in atto interventi sostanziali”.
I rimedi posti dai produttori
Carnicelli sottolinea comunque come i produttori per primi si siano resi conto del problema cercando di rimediarvi con tecniche colturali che limitino l’erosione. L’inerbimento secondo Carnicelli è senza dubbio la migliore tecnica che si può adottare, soprattutto in quelle aree come il Chianti dove il terreno è molto ricco e dove la presenza di erba tra i filari non crea problemi qualitativi al vino. Ma sempre secondo il professore l’inerbimento dei vigneti in Toscana a oggi è ancora troppo scarso e dovrebbero essere le amministrazioni comunali a sostenerlo economicamente in modo da alleviare i costi iniziali dei produttori che negli anni andrebbero a beneficio dell’intero territorio e non soltanto delle aziende.
Approccio scientifico e raccomandazioni
L’approccio del Pit alle tematiche relative al vigneto – questa la tesi di chi l’ha scritto – è stato di stampo puramente scientifico e non ideologico. Per questo Carnicelli è rimasto colpito dalla bagarre che si è scatenata. “Nel Pit c’è solo espressa la raccomandazione ad adottare pratiche colturali che limitino l’erosione del suolo e l’inquinamento delle falde acquifere, e niente altro. Non ci sono vincoli per i produttori perché questo non è uno strumento che possa vincolare”.
Carnicelli ribadisce che i vincoli sono caso mai per le amministrazioni e non per gli imprenditori, ma ammette che nel redigere il piano non è evidentemente stata fatta sufficiente attenzione al linguaggio, che poteva e doveva essere più chiaro.
La preoccupazione manifestata dai produttori soprattutto per quanto riguarda la questione dei reimpianti è secondo Carnicelli del tutto ingiustificata. Il Pit al contrario spinge proprio a reimpiantare in maniera da non erodere il terreno e – continua – “i produttori dovrebbero appropriarsi delle indicazioni del Pit, perché solo chi saprà mantenere il proprio capitale in terra vedrà nel prossimo futuro aumentare il prestigio della propria azienda.”
E conclude: “I produttori che operano all’interno di una terra così pregiata come la Toscana dovrebbero puntare sulla qualità delle pratiche agricole che le amministrazioni dovrebbero supportare da un punto di vista finanziario”.
Insomma, pare che al fondo di tutte le polemiche ci siano probabilmente una serie di fraintendimenti. Non a caso la Regione sta correndo ai ripari non soltanto con incontri con i produttori, ma anche facendo chiarezza sul vero scopo del piano paesaggistico, che come spesso accade, non è stato spiegato a sufficienza. Si resta dunque in attesa che la Regione faccia chiarezza.
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