Preceduto da un seminario su “Italian Wine Quality Control System”, svoltosi all’Ambasciata d’Italia
WASHINGTON – Doveva essere soprattutto un incontro per spiegarsi e chiarirsi. Uno scambio di opinioni, fatti e analisi, in grado di eliminare equivoci e dissipare i dubbi residui dell’altra sponda dell’Atlantico, sul modo in cui il nostro Paese veglia sulla qualità del suo prodotto d’esportazione più pregiato e apprezzato, nel mondo e in particolare negli Stati Uniti.
Ma il seminario “Italian Wine Quality Control System”, svoltosi all’Ambasciata d’Italia a Washington il 28 gennaio scorso, è stato anche più di questo. Non solo infatti gli argomenti tecnici hanno fatto breccia, ma il workshop ha permesso di aprire una pagina completamente nuova, instaurando un clima di dialogo e confronto che promette molto bene per il futuro. “Questo è l’inizio di una consultazione diretta e regolare, fondata sulla fiducia reciproca, che sarà un bene per tutti”, ha detto Lucio Mastroberardino, vicepresidente dell’Unione Italiana Vini, presente ai lavori.
Aperto dal saluto dal nostro ambasciatore negli Stati Uniti, Giulio Terzi di Sant’Agata, e introdotto dal primo consigliere Stefano Beltrame, il diplomatico che si occupa dei rapporti commerciali, il convegno ha visto la partecipazione di Emilio Gatto, direttore generale dell’Ispettorato per la tutela della qualità e la repressione delle frodi alimentari, presso il Ministero delle Politiche Agricole, di Francesco Pavanello, direttore generale UIV; di Roberta Danzi, coordinatore tecnico dei Laboratori UIV; del presidente del Consorzio del Brunello di Montalcino, Patrizio Cencioni; di Loris Tonidandel, dell’Istituo Agrario San Michele all’Adige. Da parte americana, fra gli altri, erano presenti i dioscuri del TTB, l’Alcohol and Tobacco Tax and Trade Bureau: William Foster, il capo dell’Ufficio operativo e Abdul Mabud, il direttore dei servizi scientifici.
“Abbiamo dimostrato nei fatti che le azioni di autocontrollo messe in atto dall’Unione Italiana Vini, a integrazione di quelle pubbliche per tutelare la qualità e reprimere le frodi, sono efficaci e idonee a garantire il consumatore americano”, ci ha detto al termine Pavanello. “Un po’ non se l’aspettavano – ha commentato Stefano Beltrame -, la qualità dei nostri controlli è emersa con forza: l’Italia è al top mondiale, solo noi abbiamo una tracciabilità della bottiglia, che grazie al codice a barre permette a chiunque di risalire fino alla cantina di produzione”.
Per capire l’importanza della posta in gioco, basta citare i dati forniti al seminario da Aniello Musella, direttore dell’Ice negli Stati Uniti: i vini italiani hanno rappresentato il 31% delle importazioni USA di vino nei primi 11 mesi del 2009, per un valore di 1,1 miliardi di dollari. Un calo del 16%, certo, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Ma un calo inferiore della metà a quello registrato dalla media di tutti gli altri settori che esportano in America, pari a oltre il 30%. Nel contesto della più grave crisi economica dai tempi della Grande Depressione, è un risultato importante, “lo zoccolo duro, che diventerà cruciale per ritrovarsi in buona posizione al momento della ripresa”, come ha spiegato Beltrame.
A Lucio Mastroberardino è toccato ripercorrere la storia dell’industria enologica italiana nei trent’anni trascorsi, raccontandone il processo di rinnovamento, la modernizzazione mirata a “ridurre i costi, aumentare le rese, migliorare drammaticamente la qualità del prodotto, pianificare per attrezzarsi contro i pericoli futuri”. Oggi, ha spiegato il vice-presidente dell’UIV nel suo intervento, occorre un nuovo scarto: “Se le chiavi del successo del vino italiano sono state visione, innovazione, dedizione, duro lavoro, perseveranza e creatività, ora il passo in avanti consiste nello spiegare esattamente al consumatore cosa ci sia in una bottiglia”.
Mastroberardino non fa sconti: “Le cose ascoltate qui, ci dicono che dobbiamo essere più attenti al contesto nel quale operiamo. Il vino è un tema sensibile, in un Paese produttore come gli Stati Uniti. E Foster è stato molto netto, quando ha detto che il rispetto delle loro regole dev’essere totale. Abbiamo fornito tutti i chiarimenti che ci sono stati chiesti dal TTB. Era il classico granello di sabbia, una sciocchezza che però avrebbe potuto inceppare l’intero meccanismo”.
Foster in verità è apparso molto soddisfatto. Ha definito “altamente positivo” il fatto che autorità pubbliche, laboratori di ricerca, e industria del vino italiana sentano il bisogno di collaborare con la parte americana sul tema dei controlli di produzione. Secondo il capo delle operazioni del TTB, il continuo confronto anche sul piano tecnico, alimentato da scambi di visite tra Italia e USA, potrà in futuro scongiurare eventuali barriere commerciali, l’esito più classico della mancanza di dialogo.
Un riconoscimento pubblico per i laboratori dell’UIV è venuto da Emilio Gatto, secondo il quale “la loro attività è di grande significato e aiuto per il sistema dei controlli italiano a tutela delle produzioni di qualità”. L’auto-disciplina e l’assunzione di responsabilità, in altre parole, pagano non solo in termini d’immagine e credibilità, ma anche di ricadute economiche positive. I numeri del mercato americano, pur in una fase di grave depressione, ne sono il riconoscimento migliore.
La visita di UIV ai laboratori del TTB: l’inizio di una proficua collaborazione
Prima dell’incontro all’ambasciata, la delegazione italiana ha fatto visita ai laboratori del TTB di Washington per uno scambio di informazioni sulle tecnologie e le procedure di controllo dei vini adottate in Italia e in America.
Unione Italiana Vini, che ha partecipato con il direttore generale Francesco Pavanello e Roberta Danzi, coordinatore tecnico dei Laboratori Uiv, ha avuto modo di illustrare la strategia adottata per il controllo delle forniture di vino in accordo con i produttori vitivinicoli e primari gruppi della Gdo. La procedura si basa sulla valutazione sia dell’impresa, mediante audit aziendali, sia del prodotto, mediante protocolli analitici chimici e sensoriali mirati, secondo un concetto di “Qualità globale” inteso come l’insieme di tutti i parametri che caratterizzano l’impresa in termini di igiene, qualità, ambiente e sicurezza. La presentazione, curata da Roberta Danzi, si è soffermata in dettaglio sul tipo e numero di non conformità più significative rilevate nell’ultimo anno di controlli effettuati dai laboratori Uiv. Quindi una descrizione delle risorse utilizzate dai laboratori per il controllo dei residui dei pesticidi nei prodotti vitivinicoli e i relativi metodi di analisi, con particolare attenzione alle problematiche legate alla presenza di oxadixyl nei vini.
I tecnici del TTB sono rimasti favorevolmente impressionati dalla tecnologia adottata, dai risultati conseguiti, dalla grande numerosità di campioni e risultati. Il direttore scientifico, Abdul Mabud, e il responsabile del laboratorio, Jeff Amman, hanno poi guidato la delegazione italiana in una interessante visita del loro laboratorio e delle loro strutture.
“Dotati di grandi risorse e tecnologie decisamente attuali, gli americani sono interessati a mantenere rapporti con laboratori italiani di elevata competenza ed esperienza – ha detto Pavanello – quindi i nostri colleghi statunitensi hanno manifestato il loro desiderio di instaurare con i nostri laboratori e quelli di San Michele all’Adige un rapporto continuativo di collaborazione e di reciproco scambio di informazioni e di esperienze. Ci siamo quindi accordati anche per effettuare dei ring test fra i tre laboratori con l’invio reciproco di campioni in modo da poterci confrontare e poterci allineare nelle metodiche analitiche”.
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