Tre tradizionali e una innovativa, che consente di saltare sia l’importatore che il distributore. E provare ad aggirare il problema di un mercato strozzato da wholesalers sempre più grossi e pigri. La relazione di Leonardo Locascio (WineBow) alla conferenza internazionale di Simei 2011
La distribuzione negli Stati Uniti sta diventando il fattore chiave, lo spartiacque tra chi sopravvivrà e chi invece è destinato a scomparire. Scegliere il partner più adatto alle proprie esigenze oppure – tecnicamente possibile – fare anche da soli sono le strade che si aprono per le aziende che vogliano fare business in un Paese in cui i consumi di vino, nonostante la crisi, crescono, ma con differenziazioni importanti tra Stato e Stato.
Questo in sintesi il cuore dell’intervento del presidente di WineBow, Leonardo LoCascio, nel corso della conferenza d’apertura di Simei, dedicata al tema nevralgico della distribuzione. Negli Stati Uniti, ha esordito LoCascio, negli ultimi vent’anni si è assistito a un fenomeno spaventoso: da oltre 7.000 distributori si è scesi a quota 700, mentre in parallelo cresceva l’afflusso di vini da tutto il mondo, non solo e non più Italia e Francia, ma Australia e Nuova Zelanda prima, poi Sudafrica, Argentina e Cile, oggi divenuti gli ultimi fenomeni con cui le cantine del Vecchio mondo sono chiamate a fare i conti.
Un sistema complicato e quattro strategie possibili
Si è creato quello che è un vero e proprio “bottle neck”, un collo di bottiglia che oggi rende assai difficoltoso non solo imporre nuovi vini, ma essenzialmente fare conoscere il vino ai potenziali consumatori. I primi cinque distributori oggi si spartiscono quasi la metà del mercato, per un valore di 22 miliardi di dollari di volume d’affari. Con loro, e con le logiche che sovrintendono il loro modo di concepire il vino, si devono comunque fare i conti, ha avvertito LoCascio, ma è prima di tutto essenziale capire come è strutturato il mercato americano, con evidenti differenze tra Stato e Stato, retaggio ancora del periodo del proibizionismo. Oggi sono 18 gli Stati che gestiscono direttamente monopoli di vendita dei superalcolici e 5 dei vini, mentre 26 sono quelli definiti in “franchising”: ovvero, una volta che si sceglie il distributore è impossibile tornare indietro, a meno di non ottenerne l’assenso formale. Quindi il nodo delle vendite al supermercato: se gli Stati della costa ovest permettono ai groceries di vendere anche vino, a est (New York, Washington, New Jersey, Massachusetts) invece questo è impossibile, per cui il ruolo principale è rivestito dai liquor stores. Approdare in una catena di grande distribuzione poi presenta una serie di problemi legati al modo in cui queste intendono il prodotto vino. Innanzitutto – ha spiegato LoCascio – hanno selezioni limitate, ma il problema più grosso è la figura del buyer, con i quali è praticamente impossibile stabilire un rapporto continuativo visto che per evitare fenomeni di corruzione vengono fatti ruotare periodicamente. Di qui, consegue la scarsa cultura del vino e l’enfasi posta su prodotti facili (vini varietali e brand affermati).
I top five distributors
Fonte: Impact Magazine, aprile 2011
1. Saltare importatore e distributore
Su tutto, infine, aleggia la ben nota logica del three tyer system, per cui una cantina non può vendere direttamente al ristorante/negozio, ma deve appunto passare obbligatoriamente da un distributore, che deve essere domiciliato nello Stato in cui intende far business. Un sistema che a conti fatti ingessa il mercato e che naturalmente rende soverchiante la posizione di forza dei distributori.
Su questo punto si è focalizzata la presentazione di LoCascio, che ha elencato vantaggi e svantaggi di quattro tipi di strategie che le aziende possono mettere in atto per gestire con miglior successo il mercato. Tre sono tradizionali, come le ha definite il presidente di WineBow, mentre una è innovativa, e da questa partiamo. Si tratta di saltare sia l’importatore e il distributore e avvalersi di una rete di pura logistica, che può essere sia creata ad hoc oppure selezionata in loco.
Questo consente di gestire direttamente la fase dell’importazione, della registrazione delle etichette, il magazzino, la fatturazione, la consegna e l’incasso. I vantaggi di questa scelta sono riassumibili come segue:
– Focus assoluto sui propri prodotti
– Margini più alti (in alternativa prezzi di vendita più competitivi e/o investimenti in personale di supporto alle vendite)
– Coordinamento della politica dei prezzi
– Rifornimento regolare dei distributori
– Gestione in proprio delle etichette
Mentre questi sono gli svantaggi:
– Manca un unico referente per tutto il mercato, quindi bisogna puntare a pochi e selezionati Stati, con relativa difficoltà di penetrare nei mercati minori.
– Difficile gestione dei magazzini locali
– Alti costi fissi
– Personale inadatto su un mercato grande e dispersivo
– Difficile se non impossibile gestione degli Stati in regime di monopolio e franchising
2. Appoggiarsi a un importatore
La scelta invece di appoggiarsi a un importatore nazionale risolve una serie di problematiche di tipo soprattutto logistico. Si hanno:
* Unico referente per tutto il mercato
* Coordinamento politica dei prezzi
* Rifornimento regolare dei distributori
* Gestione omogenea delle etichette
* Gestione dei pagamenti
* Gestione degli Stati in regime di monopolio e franchising
* Politica commerciale di vendita a catene di Gdo.
Mentre gli svantaggi sono essenzialmente un’erosione dei margini di vendita, lo scarso focus sul proprio prodotto e infine il problema dei problemi, che è quello dei rapporti con i distributori.
3. Consorzio di aziende
Terza via è quella di costituire un consorzio di aziende che funga anche da importatore nazionale, con i seguenti vantaggi:
* Focus di prodotto maggiore
* Margini più alti (in alternativa prezzi più competitivi e/o investimenti in personale di supporto alle vendite)
* Unico referente per tutto il mercato
* Coordinamento politica dei prezzi
* Rifornimento dei distributori
* Gestione delle etichette
E i conseguenti svantaggi, tra cui il primo è quello di superare le gelosie tra produttori, che hanno fatto fallire iniziative del genere:
* Il problema dei rapporti con i distributori
* I costi fissi e il personale inadatto per un mercato grande e dispersivo
* Difficile accesso negli Stati in regime di monopolio e franchising
* Vendite a catene Gdo difficoltosa.
4. Vendita a distributori locali
Ultima chance è quella di vendere direttamente a distributori locali, un modello usato da piccoli produttori spagnoli e francesi in abbinata alla presenza di un broker che curi i rapporti con la distribuzione. Tra i vantaggi, margini più alti sia per i produttori che per i distributori, il che equivale a favorirne l’interesse e la focalizzazione, e in definitiva prezzi di vendita più competitivi. Ma molti sono anche gli svantaggi dell’operazione, tra cui:
* la mancanza di un unico referente per tutto il mercato e di forza vendita specializzata
* Scarso coordinamento della politica dei prezzi
* problemi di rifornimento costante dei distributori
* Gestione problematica delle etichette
* Difficile accesso negli Stati in regime di monopolio e franchising
* Vendite a catene Gdo problematica
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