Chi non pianifica fin da subito una strategia di mercato ben definita corre il rischio di fallire nell’allettante impresa di proporre il proprio marchio negli Stati Uniti. Prima regola: non voler fare tutto da soli
Oggi vendere negli Stati Uniti è senza dubbio un’opportunità potenzialmente redditizia per ogni produttore che abbia velleità di respiro internazionale, tuttavia in un clima di crescente concorrenza importatori e distributori locali stanno oggi cercando di minimizzare i loro rischi, cercando partner commerciali affidabili e più possibile autonomi.
Così i produttori che desiderano aprirsi o implementare il loro business in questo mercato devono mettersi al riparo da commettere alcuni errori che potrebbero compromettere il loro rapporto con gli operatori locali.
A questo proposito Beverage Trade Network (BTN), società statunitense di consulenza nel commercio internazionale di bevande alcoliche, ha pubblicato sul suo portale un interessante decalogo degli errori da non commettere quando si vuole esportare e vendere vino, birra e superalcolici negli Stati Uniti. Sebbene si tratti di avvertimenti scritti anche a scopo commerciale, da parte di una società che si occupa proprio di consulenza del settore, ve lo proponiamo di seguito, in quanto crediamo possa dare allo stesso tempo qualche spunto di riflessione.
Primo errore: voler fare tutto da soli, ovvero affidarsi a consulenti che non conoscono bene questo mercato; è invece opportuno lavorare con partner affidabili e che abbiano una profonda esperienza delle regole d’importazione e di gestione dell’introduzione di un nuovo marchio.
Secondo errore: credere che i distributori possano costruire il vostro marchio. Gli operatori commerciali locali hanno già un bel da fare con i loro clienti consolidati e difficilmente avranno la forza (o la voglia) di promuovere un nuovo marchio, se non ci sono eclatanti garanzie di successo.
Terzo errore: pensare troppo in grande e avere fretta. Il mercato statunitense è formato da ben 52 stati diversi, ognuno con caratteristiche e con consumatori diversi. Bisogna creare una strategia diversa e specifica per ogni mercato.
Quarto errore: credere che gli importatori possano costruire il vostro marchio (per ragioni simili a quelle precedentemente indicate per il rapporto con i distributori locali).
Quinto errore: essere impreparati nel rispondere alle possibili perplessità degli operatori commerciali locali al momento di una proposta di collaborazione. Succede, infatti, che quando ci si propone a distributori e rivenditori statunitensi ci si sente dare risposte tipo: non voglio vendere il vostro prodotto; non sto cercando nuovi prodotti da commercializzare, non conosco il vostro marchio e la vostra azienda…
Sesto errore: non avere familiarità con il mercato USA. Sembra la scoperta dell’acqua calda, eppure è importante che chi voglia aprirsi a questo mercato debba prima familiarizzare con esso, studiarne le caratteristiche, attraverso la stampa e l’editoria specializzata, iscrivendosi a newsletter di settore, partecipando a fiere e conferenze etc.
Settimo errore: non avere un Brand Ambassador. Un proprio “dipendente” sul territorio è necessario, proprio perché distributori e importatori non faranno per voi la brand-building.
Ottavo errore: affacciarsi al mercato USA senza aver prima lavorato alla propria riconoscibilità in questo mercato. È quindi necessario un preliminare lavoro di brand awareness, sia nei confronti dei distributori e importatori che dei possibili consumatori finali: facendosi conoscere sui media, o attraverso la collaborazione con blogger, wine writers…
Nono errore: credere che i guadagni finanzieranno la vostra crescita in questo mercato. È bene, diversamente, essere consapevoli che gli investimenti non automaticamente porteranno a un ritorno immediato.
Decimo errore e sintesi dei precedenti: non avere fin da subito una strategia di mercato ben definita.
FEB
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