Come? Ripensando le promozioni alla luce di un più efficace marketing mix, comunicando meglio e investendo di più sulle opportunità all'estero. Questi i macro-input emersi dal tradizionale confronto tra cantine e operatori a Vinitaly in occasione della presentazione dei dati Iri delle vendite 2014 in Gdo
Di Anna Volonterio
Sfruttare meglio le opportunità legate agli spazi crescenti offerti dalla grande distribuzione estera – scommettendo di più sul valore e con una maggiore aggregazione – ripensare le promozioni alla luce di un più efficace marketing mix, razionalizzare lo scaffale e comunicarlo meglio, costruire un rapporto e un dialogo con quelli che saranno i consumatori del domani attraverso adeguati programmi di formazione e cultura. Passa da questi macro-input la sfida per il vino italiano sugli scaffali della grande distribuzione estera e di casa nostra, così come è emerso dal tradizionale confronto tra cantine e operatori a Vinitaly in occasione della presentazione dei dati Iri delle vendite in Gdo relative al 2014
I numeri: verso una virata positiva?
Gli auspici di una progressiva ripresa, lanciati proprio un anno fa in occasione dell’analisi dei dati 2013, hanno dato ragione, ma il recupero è stato decisamente più lento di quello previsto e complessivamente il dato vendite 2014 – per la prima volta – è stato negativo sia a volume (-2,4%) che a valore (-0,7%). Un dato però che contiene spunti che fanno sperare di essere sempre più vicini a una virata in positivo. Da un lato un comparto “bollicine” dinamico che chiude l’anno in positivo (+4,5% a valore) e continua a crescere segnando nel bimestre gennaio-febbraio 2015 un +11%. Dall’altro la performance dei vini di qualità in formato 0,75 che a valore spuntano un +1,3%. A ciò si aggiungono i dati 2015 che, alla luce dei mutamenti dello scenario macroeconomico, possono essere letti con basi più solide: nel primo bimestre dell’anno sono stati venduti 78 milioni di litri di vino con un aumento dell’1,3% in volume rispetto all’anno precedente e quasi +2% a valore.
Sul fronte formati, il 2014 ha visto sostanzialmente due grandi protagonisti: la bottiglia da 0,75 e il brick che rappresentano l’80% delle vendite. Il brick in particolare dal 2011 ha perso 13 punti a volume ma ne ha recuperati 14 a valore; nel caso della bottiglia invece 6 sono stati i punti persi a volume e 5 guadagnati a valore. Analizzando l’andamento dei prezzi medi, nel segmento bottiglia nel raffronto 2011/2014 si sono mantenuti sostanzialmente stabili: fanno eccezione i cosiddetti daily” (prezzo inferiore ai 3 euro) che invece sono cresciuti (da 1,97 a 2,17 euro). Da un lato vendemmie meno generose impattano di più sui vini da tavola e Igt che non sugli altri, dall’altro però è da considerare che la battaglia competitiva ha portato a un incremento di pressione promozionale sulle fasce mainstream e premium.
Cresce ancora la spinta promozionale che sul totale del vino venduto si attesta sul 40,17%, ma che sulle bottiglie a denominazione d’origine arriva al 51,80%; in aumento dell’11,3% a volume e di quasi l’11% a valore le vendite dei vini biologici, in calo – ed è la prima volta – del 13% a volume e dell’8% a valore le bottiglie a marchio del distributore, a fronte di una riduzione della promozionalità.
I dati numerici esposti da Virigilio Romano, client service director Iri evidenziano un recupero in atto a cui si accompagnano una serie di altri fenomeni: l’aumento del prezzo medio (+1,8%; +1,3% nel formato da 0,75 cl); l’iperprolificazione delle referenze (+3% rispetto al 2011; +6% nel formato 0,75); la crescita della pressione promozionale (lo sconto medio in promozione è del 27%, ma il 50% dei volumi in promo si vende con uno sconto prossimo al 40%); 21.000 i volantini con almeno una referenza sul vino, ma mediamente le referenze sono ben 5. E non dimentichiamo – ha sottolineato – che lo shopper prima di acquistare si trova mediamente a percorrere 87 metri di lineare per una media di 426,4 referenze. Trova veramente quello che sta cercando?
Gli scenari: recuperare valore, migliorare la comunicazione
“Il panorama è complicato – ha commentato Enrico Viglierchio, vice presidente Gruppo Vini di Federvini e direttore di Castello Banfi – un’eccessiva pressione promozionale sta facendo perdere al consumatore la reale percezione del valore del vino. Inoltre l’aumento di prezzo verificatosi negli ultimi anni, non copre minimamente quelli che sono i costi di produzione. La marginalità nel mondo del vino esiste ed è un problema reale”. “Noi – gli ha fatto eco Filippo Cesarini Sforza, direttore Duca di Salaparuta – abbiamo ridotto infatti la pressione promozionale al 20%, sostituendola con altre attività strategiche mirate a una fidelizzazione al brand. Questo ha comportato nell’immediato delle perdite, ma nel medio-lungo periodo questa scelta ci sta ripagando, con un miglioramento del 2% già al secondo anno e un trend di crescita. Non vedo che ci possano essere dei risvegli dei consumi, siamo noi che dobbiamo cambiare le regole del passato che non funzionano più”. “La promozionalità va rimessa a fuoco – ha concordato Alessandro Masetti, responsabile Bevande Coop Italia – e in questa direzione nasce l’iniziativa Costa meno di Coop. Bisogna riscoprire il suo reale valore, cioè far scoprire i prodotti e i territori. E’ un percorso che dobbiamo fare insieme e le istituzioni di categoria e i Consorzi potrebbero avere un ruolo importante in questo percorso comunicazionale per arrivare più chiaramente al consumatore”. “Il vero problema è ragionare insieme sui bisogni dei clienti e leggere i bisogni significa andare anche su quelle fasce di prezzo dove ci sono opportunità vere, non è solo promozione”, ha aggiunto Giuseppe Zuliani, direttore customer marketing e comunicazione di Conad.
Sergio Dagnino, vice presidente Unione Italiana Vini e dg Caviro, ha poi richiamato l’attenzione sull’iperprolificazione degli assortimenti: “Faccio fatica a vedere una reale ripresa nel 2015, e il motivo è che da una parte ci stiamo perdendo i giovani che non bevono più vino ma dall’altra vedo anche che nel 2002/2003 quando il vino in Grande distribuzione cresceva del 17% c’erano poco meno di 12.000 referenze, oggi ce ne sono 20.000. Forse c’è qualcosa che non torna”. Un iperfrazionamento che in parte è imputabile all’iperfrazionamento distributivo, che risponde a richieste locali e a diversità che è giusto presidiare, ha specificato Masetti, ma che necessariamente richiede uno sforzo maggiore in termini di chiarezza, semplificazione e investimento in comunicazione. “Bisogna creare una lettura più corretta dello scaffale – ha affermato Angelo Corona, direttore acquisti private label di Finiper – il fatto che la nostra linea Grandi vigne con 58 referenze rappresenta il 10% del fatturato del settore vino è sintomatico che una razionalizzazione si impone. C’è bisogno di maggior chiarezza a livello di proposte”.
Leggibilità dello scaffale dunque, accompagnata – come segnalato da Dagnino – da una rotazione efficace e non lesiva della qualità dei prodotti. In primo piano a guidare riflessioni prima e azioni poi, la figura del consumatore che oggi – molto più che in passato – ha bisogno di essere accompagnato in un percorso di formazione per approcciarsi in maniera corretta al prodotto vino. Anche nell’ottica dei nuovi consumatori, che non consumeranno più per tradizione familiare.
Focus Germania – UK – Usa
Più valore e aggregazione
Oltre frontiera le performance italiane – analizzate da Virigilio Romano, client service director Iri, su tre mercati chiave come Germania, Uk e Usa – delineano scenari positivi e incoraggianti, con un fatturato di oltre 21 miliardi di euro (quasi +2,5% la crescita a fronte di una sostanziale stabilità dei volumi, -0,3%) sviluppato dalla categoria “vino” nei tre Paesi, con un evidente dinamismo del comparto sparkling. Anche se in Germania è in atto un progressivo trend di rallentamento e involuzione del mercato, l’Italia detiene comunque la leadership del vino importato: con una quota di oltre il 30% nel comparto “still” e del 28% nello sparkling. In UK il Bel Paese va forte soprattutto con gli sparkling: la quota delle etichette tricolori è di circa il 18%, con il contributo maggiore fornito appunto dalle bollicine (dove oltre la metà dei volumi è più del 40% dei fatturati sono italiani). In Usa, infine, la quota made in Italy è di circa il 35%: oltre il 60% nello sparkling, circa il 30% nello still. Ma se ci confrontiamo con i nostri cugini d’Oltralpe scopriamo che la nostra leadership è però penalizzata da un prezzo/litro che arranca dietro a quello francese. Come migliorare allora le nostre dinamiche all’estero? “Sicuramente la tecnologia ci può aiutare – è intervenuto Marco Caprai dell’omonima cantina – ma dobbiamo pensare a forme sinergiche di collaborazione con la Gdo per costruire concretamente spazi nei nuovi mercati”.
“Il Ministero – ha annunciato Emilio Gatto, direttore generale per la promozione della qualità agroalimentare del Mipaaf – sta lavorando, all’interno di quello che è il piano per l’internazionalizzazione, per l’identificazione di Paesi ‘bersaglio’ in cui avviare progetti che vedano direttamente interessata la Gdo italiana per la stipula di contratti con i grandi player internazionali. Un progetto ancora in fase embrionale – ha tenuto a precisare – che prenderà via via corpo con la collaborazione dei diversi portatori d’interesse coinvolti”. “Si deve cambiare approccio – ha rilanciato infine Gianluigi Ferrari del Gruppo Core – un conto è esportare e un conto è andare a vendere, un conto è ricevere un ordine e spedire un pallett di merce, un conto è entrare in relazione con l’operatore estero. Le nostre aziende scontando il loro sottodimensionamento e la loro cronica incapacità di fare aggregazione. Bisogna capire che anche aggregandosi non si perde la qualità delle nostre meravigliose produzioni”.
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