Un gigantesco contenitore di vino che ha aperto nel suo primo stralcio nel maggio 2010 (5.000 metri quadri) e che si appresta ad aprire il prossimo mese i secondi 5.000, e a inizio 2012 toglierà il nastro alla carica dei suoi 40.000 metri quadri totali di spazi commerciali. Negozi per il retail, per la vendita all’ingrosso, esibizioni, wine tasting, fiere, per fare affari, per tutto ciò che riguarda il vino senza se e senza ma.
“Garantiamo che tutti i nostri vini sono di importazione e che sono imbottigliati nei paesi di origine”. Questa la scritta a caratteri cubitali che campeggia in una delle numerose entrate del Wine Hub di Shenzhen, la affollatissima metropoli porta di ingresso e grand bazaar sulla via per Hong Kong. Non è una presa di posizione da poco per il nuovo mega-incubatore di wineshop ed enoteche (hanno aperto 120 unità allo stato attuale e l’idea è di arrivare a 400) che ha la pretesa di diventare la mecca del vino asiatica in una delle regioni che ha il più alto tasso di sofisticazione di alcolici di tutta la Cina. Il messaggio è chiaro: qui vogliamo fare le cose come si deve. Cabernet e Chardonnay da queste parti non sono solo una merce con cui fare soldi, al pari di bulloni e cavi, ma è un qualcosa che va curato, dalla produzione alla conservazione, fino al posizionamento sullo scaffale.
Il Wine Hub di Shenzhen è un gigantesco contenitore di vino che ha aperto nel suo primo stralcio nel maggio 2010 (5.000 metri quadri) e che si appresta ad aprire il prossimo mese i secondi 5.000, e a inizio 2012 toglierà il nastro alla carica dei suoi 40.000 metri quadri totali di spazi commerciali. Negozi per il retail, per la vendita all’ingrosso, esibizioni, wine tasting, fiere, per fare affari, per tutto ciò che riguarda il vino senza se e senza ma. E a tratti anche senza una direzione del tutto chiara. Due giganteschi edifici, su due piani, dove chiunque vuol vendere il suo vino, qualunque esso sia, qui a Shenzhen può affittare uno spazio, a circa 120 rmb (15 euro) al metro quadro. Il tutto annesso a una cosiddetta “bar street”, una strip di casette un po’ kitsch finto villaggio della Provenza fatte di ristoranti e mescite dove si può degustare dal passito alle bollicine, dallo Zinfandel californiano allo Shiraz sudafricano.
Un vichingo di nome (e di fatto?)
L’ideatore e direttore di questa struttura è lo scoppiettante Chen WeiQin, nome inglese “Vicking” (non per le attitudini poco gentili ma solo per l’assonanza del nome cinese), che dopo aver concepito e portato alla luce enormi progetti in tutt’altri settori come quello della ceramica (Foshan Ceramics Expo Center), del tessile (Hangchow Textile Expo Center) e della medicina tradizionale orientale (Yulin International Traditional Medicine Harbor, Guanxi Province), supportato dalla finanziaria locale della Ou Jing City Investment co. ltd. e dal gettito di un miliardo di rmb, ha avuto l’intuizione che uno dei mercati del presente e del futuro in Cina è quello dell’“oro rubino”.
Allora, perché fare un wine hub di 40.000 metri quadrati, quasi grande come un aeroporto italiano di medie dimensioni? “La nostra scelta deriva da tre semplici constatazioni – – risponde WeiQin -: in primis il mercato del vino in Cina è in crescita costante da qualche anno, in particolare per quanto riguarda il vino di importazione che continua a segnare aumenti di circa il 25% annuo. Molto meglio del vino cinese che invece cresce a circa il 10%. Ogni due anni il consumo di vino pro capite sale di un decimo di litro: se nel 1996 era di 0,1 litri, nel 2010 siamo arrivati a 0,8. Il secondo motivo – continua WeiQin – è che abbiamo constatato che le aziende vinicole che sono approdate sul mercato cinese negli ultimi anni non sono necessariamente quelle con maggiori potenzialità in termini di prodotto, ma sono quelle con maggiori capacità finanziare e di management. Sono cioè arrivati quelli in grado di gestire un’azienda e in grado di fare un certo sforzo finanziario. Ma nel mondo la realtà principale delle wineries è quella di ottimi viticoltori non sempre solidi dal punto di vista finanziario, sanno cioè fare il vino ma hanno poca capacità di movimento su un mercato gigantesco come quello cinese e asiatico. La nostra idea dunque è quella di diventare un centro di raccolta di queste pregevoli cantine in modo da dare loro un punto di riferimento per cominciare a far capolino da queste parti”.
Contro il caos, a tutta formazione
E la terza considerazione? “E’ più legata alle abitudini del nostro Paese. Ci siamo accorti infatti che il caos aiuta per lo più chi è meno professionale. La nostra idea dunque è quella di diventare una piattaforma non solo per vendere vino ma anche per insegnare a servirlo, a berlo, a conservarlo, dando buoni prodotti, garantiti, offrendo corsi, offrendo una vetrina ai Paesi di produzione, facendo fiere, stoccando bottiglie, e facendo in modo che chiunque vuole approfondire il tema vino da qualsiasi punto di vista qui ha un’arena a disposizione dove apprendere e far apprendere, fare i soldi e farli fare”.
Per questo ancora nel wine hub non sono presenti i grandi nomi, se non perché rappresentati da piccoli distributori o dai booth delle associazioni regionali. “A quelli siamo interessati certo – conferma Vicking – ma arriveranno in un secondo tempo perché ancora non hanno bisogno di noi. Una volta che i volumi saranno da capogiro faranno la fila anche loro”.
Attualmente gli stand pullulano di vino australiano, sudafricano, austriaco, cileno, argentino, neozelandese, per l’Italia sono presenti i vini della Pace di Cormòns, i vini “del Papa”, quelli targati Alfa Romeo e Fiat, i vini del piemontese Ugo Chiola e quelli del romagnolo Luigi Sgarzi (vedi box).
Il Wine Hub sarà un successo clamoroso o un flop fragoroso? “Noi siamo certi della prima ipotesi – continua il direttore vichingo -. Per garantire una buona riuscita dell’impresa siamo in contatto con tutte le ambasciate, i consolati, gli uffici del commercio internazionale dei vari Paesi e le associazioni internazionali di produttori di vino. Abbiamo già stretto accordi e alleanze con il Bureau interprofessionnel des vins du Centre Loire, l’Australian Wine & Brandy Corporation, la Wine of South Africa, la Vignerons et Chateaux de France, la Wine Association of Moldova”. Manca solo qualcuno…
Dov’è il Wine Hub
Mezza Italia in un fazzoletto di 4.000 kmq
Posizionato nello strategico quartiere di Longgang, nel nord-est di Shenzhen, accanto alle notevoli strutture da poco inaugurate per ospitare le Universiadi del 2011 (180 miliardi di rmb di investimento), il Wine Hub si trova in un affollatissimo crocevia tra Canton, 14 milioni di abitanti ad appena 100 km, Hong Kong, 7 milioni di abitanti, a 50 km, il più fiorente mercato del vino in Cina, e le due città gemelle di Macao e Zhuhai, a 80 km, un agglomerato di 3 milioni di abitanti. Senza contare Zhongshan, Dongguan e Shunde (la città del mito Bruce Lee), il tutto a formare un enorme bacino di utenza grande quasi mezza Italia… in un fazzoletto di 4 mila kmq.
Chi ci ha scommesso
Cantine Sgarzi: un’organizzazione perfetta
“Finora quello che hanno promesso l’hanno mantenuto”. Così incomincia la nostra conversazione con Stefano Sgarzi, produttore emiliano che tra i primi ha aperto un ufficio nel Wine Hub. “Noi siamo in Cina da 15 anni, abbiamo la licenza di importazione, e fatti quattro conti, tra avere un ufficio a Shenzhen e uno stand al Wine Hub la seconda opzione è risultata molto più conveniente, siamo circa a 15.000 euro l’anno, più i costi di gestione che sono all’incirca altrettanto”. Nello stand, Sgarzi si avvale del signor Franco, operatore cinese che parla perfettamente l’italiano e che gestisce i contatti con i potenziali clienti. “L’organizzazione, anche dal punto di vista burocratico, è stata perfetta, e si sa quanto la burocrazia in Cina possa essere pesante. Al Wine Hub, per ora, la cosa più importante è che possiamo far fare gli assaggi delle campionature ai distributori, cosa molto apprezzata, in attesa che questo megacentro si popoli. L’anno scorso a novembre stavano ancora costruendo, lo hanno arredato in gennaio, e già a maggio il 30% dei negozi era occupato. Oggi gli spazi stanno andando via rapidamente, e devo dire che stanno lavorando alacremente per fare arrivare gente, organizzando eventi e fiere: francesi, australiani, americani hanno tutti capito l’importanza di esserci, anche con presenze istituzionali e associazioni di produttori, gli unici che mancano sono gli italiani, e sono quelli che ne avrebbero più bisogno”.
Tra i prodotti proposti, la Sgarzi annovera anche vino in lattina. “Si sta diffondendo molto, e ancora di più il tetrabrik. Per stare su questo mercato bisogna essere flessibili, e non tentare di imporre a tutti i costi quello che piace a noi. Fondamentale è offrire un buon prodotto all’interno di un packaging accattivante, perché se il prodotto è scarso anche se lo presenti bene non te lo compra nessuno. Tanto per intenderci, i nostri vini Ciao Sangiovese e Chardonnay Igt Terre di Chieti da uve biologiche hanno vinto il premio Trophée Prestige al concorso internazionale Cittadelles du vin 2011”.
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