I primi cinque distributori controllano il 50% del mercato, i primi dieci il 60%. E per mantenere in vita l'oligopolio spendono un mucchio di soldi per sostenere le campagne elettorali dei politici che contano
La tabella qui sopra è inequivocabile: ai primi cinque distributori fa capo il 49% delle vendite di vino in America, per un totale di oltre 22 miliardi di dollari. Quota cresciuta nell’ultimo anno di oltre un punto percentuale e che dà l’esatta dimensione di che cosa significhi vendere vino nel Paese delle opportunità. O fai affari con Southern Wine & Spirits (20%) e compagnia, oppure la vita può essere molto complicata.
Se alla lista si aggiungono gli altri 5 della top ten, il totale arriva al 60% netto (+2 punti percentuali in un anno), per un volume d’affari di 27 miliardi di dollari. Si ha ragione nel dire che i distributori costituiscano oggi un vero e proprio “bottle neck”, considerando che nel 1990 a distribuire vino negli Stati Uniti erano in 7.000 e che dopo vent’anni la quota – tra fusioni, acquisizioni, fallimenti dei più piccoli – si è ridotta a circa 700, mentre di pari passo è aumentato progressivamente il numero di fornitori (circa 1 milione oggi) e quello dei dettaglianti, passati in vent’anni da 400.000 a oltre mezzo milione.
Un sistema, quello distributivo, che vive in un regime di oligopolio e che – stando alle stime effettuate da Tom Wark, direttore generale di “Specialty Wine Retailers Association” (un’associazione di proprietari di negozi di vino), nella ricerca dal titolo “Towards Liquor Domination”, spende ogni anno cifre esorbitanti per sensibilizzare i politici a mantenere lo status quo.
Wark elenca puntigliosamente tutti i contributi elargiti dal settore distributivo alla classe politica in termini di sostegno alle campagne elettorali per mantenere in vita questo “perfetto affare” (sweet deal). La ricerca di Wark, per esempio, ha messo in luce come dal 2006 il settore distributivo nel suo complesso ha speso in finanziamenti per le campagne elettorali federali e di Stato ben 74 milioni di dollari. Un flusso di denaro quasi doppio rispetto a quanto messo assieme da aziende, distillatori, birrifici e wine stores. Da sole, inoltre, le due più grandi organizzazioni dell’industria della distribuzione – la National Beer Wholesalers Association e la Wine & Spirits Wholesalers Association – hanno investito più di 8,8 milioni di dollari in attività di lobbying presso il governo americano. Questo enorme flusso di denaro, pari in totale a oltre 82 milioni di dollari, ha consentito – questa l’accusa di Wark – di tenere in piedi questo sistema protezionistico che va a vantaggio solo ed esclusivamente dei distributori. Divenuti, oltre che sempre più potenti, anche pigri e poco inclini a sperimentare e proporre cose nuove.
Fonte: “Towards Liquor Domination 2011”, Specialty Wine Retailers Association
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