Dal primo agosto via libera al nuovo regolamento europeo che chiude un lungo periodo di scontri comunitari. Adesso sarà tracciata non solo la provenienza delle uve, ma anche tecniche di produzione e conservazione. Più trasparenza e maggiori garanzie, di conseguenza, anche per il consumatore
Dopo vent’anni di scontri comunitari, dalla prossima vendemmia sparirà la definizione di vino ottenuto da uve biologiche che, al momento, il consumatore trova sugli scaffali di enoteche e supermercati, e si potrà portare finalmente in tavola il vino biologico. “Finalmente perché” commenta Diego Begalli, docente di Economia del sistema vitivinicolo, durante il convegno tenuto dall’ Università degli studi di Verona a Villa Lebrecht a San Floriano “ci sono voluti oltre vent’anni per giungere a un regolamento europeo condiviso che definisca una volta per tutte cosa è o non è bio nel bicchiere”. Una buona notizia per l’Italia, che è il Paese numero 2 al mondo per vigneti coltivati secondo metodi biologici, con 52.200 ettari, dietro alla sola Spagna, che ne conta 57.000.
La bagarre durata due decenni è stata principalmente tra Germania e l’Italia, anche se un ruolo dirimente lo hanno giocato le associazioni del settore, tra cui l’Aiab, Associazione italiana per l’agricoltura biologica, che nell’autunno 2011 hanno inviato una chiara lettera al Commissario Ciolǒs, invitandolo a portare a conclusione l’iter normativo, ma nel rispetto dell’equità e di un minimo di criterio tecnico.
Quindi ora il vino bio si fa solo e soltanto con l’uva bio, cosa che vale anche per il vino biodinamico che condivide gli stessi obblighi normativi comunitari. Inoltre sono vietate alcune pratiche quali la concentrazione parziale a freddo, la desolforazione dei mosti, l’elettrodialisi, la dealcolazione parziale, il trattamento del vino con scambiatori cationici. Non si potrà poi trattare il vino a più di 70 °C e sarà permessa la microfiltrazione, ma non l’ultra e la nano filtrazione. Non sono consentiti inoltre acido sorbico e desolforazione. E il regolamento stabilisce anche tecniche enologiche e sostanze autorizzate tra cui il tenore massimo di solfito per il vino rosso, ridotto a 100 mg per litro (mentre è 150 mg/l per il vino convenzionale) e per il vino bianco/rosé a 150 mg/l (è invece 200 mg/l per il vino convenzionale), con un differenziale di 30mg/l quando il tenore di zucchero residuo è superiore a 2 g/l. In realtà questi livelli di solfiti ammessi sono maggiori di quelli usati dalla gran parte dei viticoltori biologici italiani, e sono dovuti a un compromesso con i Paesi del Nord Europa che, causa di climi più rigidi, necessitano in quantità maggiori di solforosa.
Per quanto riguarda gli ingredienti e i coadiuvanti di processo, vengono ammessi quasi tutti quelli di origine naturale (vegetale, animale e microbiologica, inclusi lieviti e batteri), con la raccomandazione di preferire l’origine biologica quando disponibile, e vengono limitati quelli di sintesi. Attenzione poi alle etichette. Il regolamento entrerà in vigore a brevissimo, con la sua pubblicazione in Gazzetta Europea, appena verranno definite le competenze per il controllo e la certificazione. Ciò significa che non solo i vini della vendemmia 2012 potranno utilizzare la dicitura vino biologico e il relativo logo europeo, ma anche i vini delle annate precedenti, purché si possa dimostrare che rispettavano già il regolamento o con sistemi di certificazione o attraverso disciplinari privati. “Oggi il regolamento che ci permette di etichettare il vino come bio rappresenta un punto d’arrivo importante, considerando i 21 anni di attesa e il serio rischio di non vederlo mai approvato” spiega Cristina Micheloni, responsabile del comitato scientifico Aiab “Finalmente si sancisce formalmente l’esistenza del vino bio. Ora però vinta la guerra è il momento delle battaglie: bisogna iniziare a produrre dati tecnici e scientifici su ‘quanto meglio’ si può fare, in modo da presentare nel giro dei prossimi anni delle istanze di revisione serie e contestualizzate”.
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