Non sono bastate due vendemmie povere, lo sfuso cileno che arriva a fiumi danneggiando l’imbottigliato locale e il calo dei consumi in favore della birra, ora il governo ha in progetto di portare la tassazione da zero al 17% in soli tre anni
L’industria argentina del vino percorre da anni una strada in salita. Senza andare troppo indietro nel tempo ricordiamo che la vendemmia 2016 è stata la peggiore mai registrata e quella successiva ancora nettamente inferiore ad attese e bisogno, che il più economico vino sfuso cileno in ingresso sta danneggiando i produttori locali, colpiti altresì da una contrazione della domanda estera (ne abbiamo parlato qui), o che il consumo e la penetrazione del vino tra le famiglie si stanno erodendo a favore della più economica birra…(si veda qui).
La situazione non è dunque felice e nemmeno le ultime notizie sono buone, visto che nella riforma tributaria in discussione in questi giorni è previsto un significativo aumento delle aliquote sulle bevande alcoliche ed analcoliche.
Secondo quanto si legge sulla stampa argentina (si veda ad esempio iprofessional.com) nei progetti del governo vi è l’introduzione di una tassazione del 10% sul vino fermo (su cui oggi non vi sono imposte), del 17% sugli spumanti (aliquota attuale 12%), del 29% sui superalcolici (aliquota attuale 20%), del 17% sulla birra (aliquota attuale 8%) e del 17% su bevande analcoliche gassate (aliquota attuale 4%) e sui succhi di frutta con aggiunta di zucchero (aliquota attuale 8%).
L’imposta sul vino, inoltre, potrebbe crescere gradualmente in tre anni fino ad arrivare al 17%.
Alle vive proteste da parte dei produttori il governo ha risposto sottolineando che la crescita delle imposte sarà compensata da altre detrazioni in progetto (come ad esempio quella sui contributi sul lavoro dipendente), rassicurazione che però non convince in alcun modo l’industria.
FEB
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