A un anno dall'annuncio dell'acquisizione del marchio Peter Lehmann, l'amministratore delegato della Casella Family Brands parla del nuovo progetto per la Barossa winery e del percorso di ripresa avviato dalle esportazioni dopo anni di errori commessi dall'industria australiana
In questo articolo – pubblicato da Grapegrower & Winemaker, la più importante rivista di settore edita in Australia e Nuova Zelanda, con cui il Corriere Vinicolo ha una partnership editoriale – John Casella, amministratore delegato della Casella Family Brands, illustra le strategie future del gruppo, dopo l’acquisizione del marchio Peter Lehmann, e il nuovo progetto per la Barossa Winery.
Casella è convinto che stiano tornando le condizioni per rinnovare il successo dei vini australiani, che dopo il boom si è trovata ad affrontare uno stallo. Il problema, secondo l’amministratore delegato della più grande azienda vinicola australiana a conduzione familiare, è stato il limitarsi a “seguire” anziché “guidare”, principalmente per mancanza di maturità e consapevolezza. Senza dimenticare la battaglia tutta interna, che “è diventata una gara a estromettere un altro australiano dal mercato statunitense”.
I problemi però non si limitano a questo e per superarli bisogna prenderne consapevolezza. Ecco perché Casella crede che il primo passo sia evitare la sovrapproduzione, “un danno condiviso da tutti”. E poi smettere di vendere vino sottocosto per aumentare i margini di profitto, con la consapevolezza che questo potrebbe comportare per alcuni anni un calo nelle vendite, prima che “i buyer ritornino e paghino il nuovo prezzo richiesto”.
Per quanto riguarda le sue aziende Casella ha scelto alcune strade da perseguire per crescere: abbandonare la logica del “fare di più” e concentrarsi sul “fare meglio”, accrescere le esportazioni in particolare sul mercato americano e diversificare i varietali (“Se consideriamo Yellow Tail lo shiraz era il prodotto più venduto, mentre ora è solo al quarto posto dopo Chardonnay, Cabernet e Merlot”). Mentre su Peter Lehmann confessa che l’obiettivo a medio termine è di alzare il livello qualitativo e dovranno passare “due o tre anni, ma potrebbe essere anche cinque” prima che il nuovo super premium sia messo sul mercato.
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