Con circolare n. 16991 del 25 luglio scorso il MIpaaf ha diramato chiarimenti sull’applicazione della normativa comunitaria (reg. CE n. 1234/07, art. 118 ter, par. 1, lett. b), ii) – reg. CE n. 607/09, art. 6) e nazionale vigente in materia di vini IGP (D.L.vo n. 61/2010), relativa alla possibilità di utilizzare per il taglio di vini IGT (o destinati a divenire tali) prodotti ottenuti da uve raccolte fuori dalla zona di produzione delimitata dal disciplinare della specifica IGT, nel limite massimo del 15%.
Sul piano della generalità e conformemente alla normativa comunitaria e nazionale preesistente a quella attualmente vigente, detta pratica, per prassi operativa assai diffusa nella produzione dei vini IGT italiani, è stata di fatto assimilata con il taglio, nel limite massimo del 15%, degli specifici vini IGT, o dei prodotti destinati a diventare vini IGT, con vini o mosti provenienti da uve prodotte al di fuori della zona delimitata nei relativi disciplinari di produzione.
Secondo il Mipaaf, “l’utilizzo dei “prodotti fuori zona” in questione può essere effettuata in una qualsiasi fase di elaborazione (iniziale, intermedia e finale), che deve avvenire nell’ambito della zona di produzione delimitata delle rispettive IGT, tenuto conto delle eventuali deroghe, sarebbe più appropriato considerare, sul piano della generalità, lo stesso utilizzo quale assemblaggio delle frazioni di partita (massimo 15% fuori zona – minimo 85% zona di produzione) che concorrono alla costituzione della partita finale (da certificare ai fini dell’immissione al consumo)”.
Alla luce dell’abrogazione del citato DM 2 agosto 1996 (che all’articolo 4 esplicitava quanto già previsto dalla normativa comunitaria all’epoca vigente, in merito alla possibilità di effettuare sul piano della generalità per tutti i vini IGT il taglio in questione nel limite del 15%) la stessa pratica è da ritenersi tuttora legittima, sempre sul piano della generalità, in quanto conforme al citato disposto della prevalente normativa comunitaria in materia di vini IGP (art. 118 ter, par. 1, lett. b), ii) del reg. CE n. 1234/07). In tal senso, come sopra richiamato, le eventuali misure più restrittive intese ad escludere la pratica in questione devono essere espressamente previste negli specifici disciplinari IGT.
Ai sensi dell’art. 6, par. 2 del Reg. CE n. 607/2009, la provenienza dei prodotti fuori zona (al massimo 15%) deve essere di ambito nazionale.
Nelle tipologie che riportano il nome di vitigno, per garantire la tracciabilità delle produzioni e i controlli di filiera (conformemente alla specifica disciplina per le IGP di cui agli articoli 25 e 26 del reg. CE n. 607/09 e all’art. 13 del D. L.vo n. 61/2010), l’utilizzo dei prodotti fuori zona è da escludere per le partite che già sono state oggetto di taglio o assemblaggio (nel limite del 15%) con prodotti derivanti da uve di altra/e varietà di vite coltivate nella zona di produzione delimitata.
Ciò al fine di assicurare che, conformemente al parere espresso dal Comitato Nazionale per la tutela e la valorizzazione dei vini DO e IGT in data 20 luglio 2011, “per i vini a IGT qualificati con il nome di un vitigno le partite di vino – risultanti dal taglio e come tali pronte per l’immissione al consumo – devono essere ottenute per almeno l’85% da uve del corrispondente vitigno prodotte nella zona di produzione delimitata della relativa IGT.”.
Qualora le partite di prodotti vitivinicoli IGP in questione non siano state oggetto di “taglio” o assemblaggio con prodotti provenienti dalla zona di produzione e, pertanto, le partite stesse siano costituite in purezza dal relativo vitigno, può essere effettuato il “taglio” con prodotti fuori zona.
Per la tracciabilità delle partite, nei documenti di trasporto e nei registri di cantina devono essere indicati gli elementi fondamentali che caratterizzano le specifiche tipologie IGT che si intendono ottenere a seguito dell’operazione di taglio.
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