Di matrice spagnola, la World Bulk Wine Exhibition è l’unica al mondo, è ben organizzata e richiama compratori da ogni parte del globo. In forte crescita espositori italiani, francesi e argentini, mentre si dimezzano quelli iberici. I dati: trattati 18 milioni di ettolitri per 930 milioni di euro
Amsterdam (Paesi Bassi). Alla terza edizione, e priva com’è di concorrenti, la World Bulk Wine Exhibition, 21 e 22 novembre, s’è confermata come il riferimento internazionale del vino sfuso. Come pure s’è riaffermata la competenza organizzativa degli spagnoli che, con la Pomona Keepers SL e la nuova banca Globalcaja di Toledo, nata a maggio dalla fusione di alcune Casse rurali, ne sono gli scrupolosi registi.
Qualche cifra. Gli espositori vinicoli effettivi (al netto degli stand delle testate giornalistiche) sono stati 95 di 11 Paesi. Tremila i visitatori, di cui 780 buyer, provenienti da 40 Paesi.
I volumi trattati si aggirerebbero sui 18 milioni di ettolitri. Stimando un valore medio, la fiera calcola un controvalore di 930 milioni di euro.
“La nostra filosofia non è procacciare espositori quanto richiamare in fiera il maggior numero possibile di clienti compratori. Sono loro il nostro autentico patrimonio”, ci hanno detto con convinzione gli organizzatori. E bisogna riconoscere che i buyer si sono davvero materializzati dai quattro angoli del mondo.
Sono stati invece del tutto smentiti i rumors secondo i quali gli spagnoli, dopo aver sviluppato la fiera, stiano progettando di costruire in zona una centrale d’imbottigliamento per poter distribuire un prodotto più economico e scalare la classifica che nei Paesi Bassi li vede al quarto posto, dopo Francia, Germania e Italia.
Tornando alla Wbwe, l’iniziale sparuta pattuglia italiana è cresciuta dai sei pionieri della prima edizione a 19. Lo stesso è accaduto con i francesi, saliti da 4 a 23, e con l’Argentina, da 1 a 11 (vedi box “95 espositori di 11 Paesi”).
Parimenti s’è dimezzata l’Invencible Armada spagnola, da 56 a 30. Buon segno: non più condizionata dall’elefantiaca presenza iberica, nelle vele della Wbwe soffia ora vento realmente internazionale.
Questo crollo di aziende di “vino blanco y tinto” è concatenato, del resto, al senso stesso della fiera, come cercheremo di spiegare. Bisogna intanto partire dalla scintilla che ha messo in moto l’evento: l’immenso vigneto della Castilla La Mancha – l’8% del vino mondiale e la metà abbondante di quello spagnolo – che, da sempre, è sinonimo di sfuso.
Senza però specifica perizia commerciale e senza importanti sbocchi all’estero, quella viticoltura sembrava destinata fatalmente all’abbandono. Perché non tentare invece il rilancio, facendo di necessità virtù, trasformando in opportunità quella debolezza letale?
Gli spagnoli hanno dunque pensato a una fiera. Ma dove? Primissima condizione per infilare almeno una freccia nel loro arco, in un Paese non produttore. Italiani e francesi, e non solo loro, non si sarebbero mai sognati di volare in Spagna a trattar sfuso.
Amsterdam (vedi anche il box “La fiera più importante del Nord-Ovest d’Europa”) rispondeva ampiamente a tutti i requisiti: campo neutro, crocevia internazionale di grandi traffici, solida vocazione mercantile.
Così tante aziende della Castilla La Mancha sbarcarono un po’ troppo speranzose nella terra promessa. Credevano, con una buona dose d’ingenuità, di risolvere in un sol colpo tutti i loro antichi e intricati problemi, e così evidentemente non è stato. Ha provveduto il mercato a potare la pianta, soppesando le aziende e rimandando a casa quelle meno organizzate ad affrontare le strade del mondo.
Un quarto d’ora prima dell’apertura della fiera facciamo conoscenza con un potenziale compratore, il molto simpatico Narayan Agrawal, originario dell’India e residente da 23 anni a Heidelberg, Germania, a meno di 5 ore d’autostrada da Amsterdam.
A quali mercati è interessato?
India e Africa. In Italia ho due fornitori, uno di questi lo troverò qui in fiera.
Fascia di qualità?
Livello medio, ma in alcuni casi anche vino da tavola, fino a qualche sconfinamento nel settore alto: tipo barrique, per intenderci. Compriamo per i rivenditori in base alle loro esigenze. Sono certo che India e Africa occidentale siano mercati molto interessanti, o almeno lo diventeranno nei prossimi anni.
La fiera apre alle 10 in punto e il primo stand italiano che incrociamo è quello della Vinicola Vedovato di Trebaseleghe, Padova. Parliamo con Fabio e Sara Vedovato.
Qual è la vostra offerta?
Forniamo il servizio completo dalla raccolta dell’uva al trasporto, tutte le fasi in base alla richiesta del cliente. Mettiamo a disposizione un’ampia gamma di vini, con costante controllo qualità, e collaboriamo con diverse società internazionali di trasporto.
Export?
Il 40%, soprattutto nella Repubblica Ceca e poi in Germania e in Ungheria. Abbiamo cominciato con Praga all’epoca dei rimborsi per le esportazioni extra Ce: conosciuto l’importatore, ci siamo poi allargati.
Tipologia del vino?
Inizialmente era solo vino base, ora sta salendo. Forniamo anche diverse piccole aziende che richiedono più qualità e ci fa piacere, c’è più soddisfazione. Molto ricercati i bianchi, a base Garganega, e anche i rosati. Meno i rossi.
E in Italia?
Da noi la maggior domanda è rivolta ai Doc. Come per Stati Uniti e Canada, che pretendono solo altissima qualità. In Ungheria, per fare l’esempio opposto, conta ancora esclusivamente il prezzo.
A proposito di prezzi: ora sono aumentati…
Sì, del 30-40%. Sembrano mostruosi, ma in realtà il prezzo di prima non aveva più senso. Era talmente basso da spingere all’estirpazione o alla vendemmia verde.
Se l’uva non copre i costi, non ha ragione di esistere. Un conto è il produttore che coltiva per hobby e dice: finché vado a pari con le spese, continuo. Se no, punta al rimborso per l’estirpazione.
Lo stand Caviro accoglie i visitatori con lo slogan “Italian Modern Classics”, alcune bottiglie e una nuova confezione di Tavernello, molto più elegante. Ne parliamo subito con Giordano Zinzani, che fra i molteplici incarichi ha anche quello di presidente regionale Aei, e che fa parte degli audaci avanguardie della prima edizione di Amsterdam.
Il Tavernello ha dunque cambiato look.
Questo che vede è per il mercato tedesco. Ci sono però novità anche per l’Italia, da dicembre, con una confezione molto simile.
Come Consorzio, non facciamo vendita di sfuso. Rappresentiamo però anche cantine che non imbottigliano tutto e qui abbiamo contatti con acquirenti che cercano prodotto pronto per il confezionamento.
Com’è questa fiera, avendo partecipato a tutte le edizioni?
È soprattutto una vetrina per vedere come si stanno muovendo i mercati. Ci sono gruppi che operano per Russia e Cina e che richiedono quantità enormi, ma noi non siamo concorrenziali nei prezzi, né l’anno scorso né tanto meno quest’anno. È però importante capire come si pongono le altre aziende.
Era in sala degustazioni. Che prodotto ha trovato?
Noi siamo abituati a sfusi grezzi, che poi rifiniscono gli imbottigliatori. Questi, invece, sono pronti.
L’Abruzzo è presente con diverse cantine. Alla Tollo troviamo Daniele Ferrante, responsabile di produzione, alla sua seconda edizione.
L’impressione?
C’è normalmente molto interesse per grossi volumi di prodotto medio-basso. Noi ne offriamo uno medio-alto, quindi non c’è sempre la massima sintonia.
Ha avuto contatti?
Germania, Est Europa, India. Con la Germania ho chiuso un grosso contratto nel medio di gamma. Uno anche con la Slovacchia.
I prezzi?
Per noi l’aumento è sul 45%. C’è anche da dire che in passato gli aumenti erano stati sempre assorbiti dalla materia prima. Quest’anno poi c’è anche meno vino: i bianchi sono già quasi finiti, i rossi partono adesso. Il mercato è abbastanza calmo: sta valutando la risposta dei clienti finali all’impatto degli aumenti.
Restiamo in Abruzzo, ma da Tollo ci spostiamo a Vasto, una cinquantina di chilometri a Sud, alla cantina San Michele Arcangelo, pure presente per il secondo anno. Ci accolgono Manuel Barbone (che simpaticamente ci scherza sopra: “Come la condizione sociale, ora posso solo migliorare”) e Luca Lecce, rispettivamente produzione ed export.
Contatti?
Soprattutto dal Nord Europa, Svezia e Finlandia. Noi siamo monotematici – solo Montepulciano d’Abruzzo – e così dobbiamo fare per forza cose buone. Forniamo dai 300 ai 10 mila ettolitri, e abbiamo anche una produzione di bottiglie, 500 mila, ma è del tutto marginale.
Che aumento di prezzi avete avuto?
Si parla del 40-50% ma, ripeto, al momento se ne parla solo. Noi abbiamo sicuramente una buona qualità; si tratta di vedere se il mercato della bottiglia la accetti.
C’è comunque un certo interesse a comprare perché il prodotto è poco. Il guaio è che sia chi vende, sia chi compra ha sempre paura di farlo al prezzo sbagliato. Così stiamo tutti alla finestra e questa, almeno, è una bella vetrina.
Una curiosità: quanto spendete per lo stand?
Il nostro è mezzo stand, lo dividiamo con un’altra azienda e abbiamo potuto scegliere il nostro vicino. Ci costa 3.500 euro e, quindi, con poco più di 4 mila fra viaggio e albergo, facciamo una fiera importante. Sono i soldi meglio spesi e, fra l’altro, gli spagnoli si sono dimostrati ottimi organizzatori.
A proposito di stand in condominio, ecco due espositori amici: l’enologo Stefano Ricagno dell’Antica Vineria, 450 conferenti nella zona di Castel Rocchero e Àlice Bel Colle, a cavallo delle province di Asti e Alessandria, e Andrea Gamba, responsabile commerciale della Vignaioli Piemontesi, vale a dire 44 cooperative, con una produzione pari al 40% dell’intera regione.
Impossibile non parlare di prezzi…
L’aumento è del 20-30%, ma erano davvero bassi: si va verso una stabilizzazione dell’offerta e cerchiamo di dirottare i volumi sui mercati. La qualità c’è, non si discute nemmeno.
Usciamo dalla distillazione, cerchiamo di presentare i nostri prodotti con politiche diverse da quelle di una volta. Speriamo di farcela.
Gianfranco Repellino, enologo della Giordano Vini, è di casa in fiera: fa parte dell’originario drappello di aziende presenti dall’inizio.
Come le sembrano i visitatori?
Sono indubbiamente interessati, e abbiamo sempre avuto buoni riscontri. Qui i nostri clienti arrivano da tutto il Nord Europa: Amsterdam è la giusta collocazione geografica.
Le tipologie più richieste?
Per noi sono certamente i rossi, al 90%: forti, strutturati ma anche eleganti. L’unica condizione che ci chiedono è che siano autoctoni, vini che insomma parlino italiano. I clienti cercano il made in Italy nella Barbera, nel Primitivo, nel Sangiovese.
Un altro pioniere è il wine broker Patric Lorenzon, dell’omonima azienda di San Stino di Livenza (Ve), accompagnato da Enrico Boatto. Ospitano l’amico Gian Luca Martelli della Vinicola San Prospero, nell’Imolese.
Quali effetti ha avuto l’aumento dei prezzi?
Ha subito generato una riduzione della domanda in termini di quantità. Ora centellinano gli acquisti, comprano poco e con maggior frequenza: just in time.
La tendenza dei prezzi nelle Tre Venezie è questa: Prosecco e Pinot grigio +20-30%, Merlot e Cabernet anche +40%.
Un parere sulla fiera.
Premesso che è l’unica fiera di riferimento, non è ancora decollata per l’effettiva complessità del prodotto. Gli operatori stentano, sono legati a sistemi tradizionali.
Però ci crediamo, è l’unico strumento, si svolge in terreno neutro e gli italiani sono nettamente aumentati. Alla prima edizione ci sentivamo un po’ esclusi. Gli spagnoli erano tantissimi e c’era la chiara impressione che l’organizzazione, spagnola, orientasse verso i suoi vini.
Avete uno stand unico.
Costa 7 mila euro. D’altra parte sarebbe un problema peggiore dividerlo con un concorrente: parlare di prezzi davanti a lui diventerebbe quantomeno imbarazzante.
Alla Di Cosimo di Anagni (Fr) sentiamo Enrico Brecci, qui per la prima volta.
L’impressione?
Buona. Piacciono i nostri vini del Centro-Sud, in prevalenza rossi, varietali: Syrah, Merlot, Cabernet.
Abbiamo avuto 2-3 test già a inizio giornata per i nostri pugliesi, siciliani, campani e laziali.
Problemi per i prezzi?
Ci stanno molto attenti, è difficile trasferire gli aumenti. Per il momento, allora, riducono i quantitativi.
Vittorio Celotti, dell’omonima azienda di Faenza, è un giramondo. Venerdì tornava dalla Cina, domenica pomeriggio sedeva già sull’airbus Malpensa-Amsterdam con l’enologo e l’interprete.
Conosceva la fiera?
No, vengo per la prima volta perché ne ignoravo l’esistenza. Non mi sembra ci sia molta gente, ma in fiere come questa passa solo quella giusta. Oggi purtroppo il mercato va a rilento, invece di 10 cisterne ne compra 5. D’altra parte i vini sono stati pagati cari, non si possono svendere.
E allora?
Allora si cerca nuova clientela all’estero, sperando anche in un valore aggiunto maggiore. Dopo Germania ed Est Europa, adesso punto su Russia e Cina.
Da cui è appena rientrato.
Sì, sono ancora sotto fuso. Ci vado tre volte l’anno, lì il commercio gira ad alta velocità, tutti vogliono fare. Certo che vanno presi con le dovute precauzioni, i cinesi, e ci vuole tempo.
Purtroppo noi italiani non siamo per niente supportati, i costi pesano interamente sulle nostre spalle. Manca la promozione italiana in Cina, il cui mercato per il 50% è in mano francese. Tanti cinesi si stupiscono addirittura che l’Italia produca vino, non se l’immaginano nemmeno, pensano che facciamo solo moda e Ferrari.
Di conseguenza molti distributori rifiutano il vino italiano perché non è conosciuto. Ci vorrebbe una bella campagna nazionale che dica che il vino migliore del mondo è il nostro, che siamo i più grandi produttori. Se no, continuano a scambiarci per sfigati.
Baldo Buffa segue il commerciale per le Cantine Europa di Petrosino, 14 chilometri da Marsala.
Come va?
Sono proprio contento, ho la possibilità di confrontarmi con gli spagnoli, nostri diretti concorrenti. Vedo prodotti e prezzi della concorrenza, almeno so con chi ho a che fare.
Chi sono i clienti più interessati?
Quelli dell’Est Europa: comprano il vino e se lo imbottigliano a casa. Cercano il prodotto base, bassa qualità, 11 ½ -12°, in grosse quantità. Ne comprano anche una nave: un solo cliente ordina tranquillamente 20-30 mila ettolitri.
Sempre in Sicilia, e sempre nel Trapanese, a Partanna, espone per la prima volta l’Azienda agricola Occhiodisole, con lo slogan “Frutto di nuove generazioni”. La rappresentano Giovanni Scimonelli, direttore commerciale, e Giuseppe Restivo, responsabile produzione.
L’impressione?
È una fiera molto selettiva, è bella per questo. E il mercato dello sfuso si sta svegliando. Si nota un certo orientamento verso la qualità, anche se il fattore prezzo resta importante.
Importante quanto?
La Spagna vende a quasi la metà di noi che, a nostra volta, siamo intorno al 50% in più rispetto l’anno scorso, con una produzione calata del 40%.
Detto questo, chi cerca la qualità da noi la trova di sicuro. I nostri Merlot e Grillo sono piaciuti moltissimo.
Il Consorzio Cantine dell’Ancellotta, ovvero il Rossissimo, con sede a Reggio Emilia, è in fiera con il presidente Renzo Zaldini, il direttore Lino Chierici e il presidente della Cantina di Correggio, Italo Veneri.
C’è interesse per questo prodotto?
È molto conosciuto a livello mondiale, dove esistono prodotti simili ma nessuno al livello assoluto del nostro. Questo c’è compreso da tutti e ci colloca nella miglior posizione.
Abbiamo avuto contatti con Regno Unito, Francia, Spagna, Germania. Ora aspettiamo i risultati.
Oiv: domanda all’insù, in Germania, UK, Russia
L’inaugurazione ufficiale della fiera, dopo i saluti degli organizzatori Otilia Romero de Condes, general manager, e José Luis Murcia, coordinatore, prevedeva una serie di interventi tecnici.
Il primo ha visto al microfono Barbara Iasiello, che in seno all’Oiv si occupa di dati statistici. Ha svolto la relazione “Recenti cambiamenti nel mercato internazionale del vino, con particolare attenzione a quello dello sfuso”. Come si nota dai grafici, c’è domanda in aumento in Germania, nel Regno Unito e, particolarmente forte, in Russia.
Fonte: OIV
95 espositori di 11 Paesi: tre edizioni a confronto
* Tolte le testate giornalistiche che hanno partecipato con i loro stand, il numero esatto degli espositori vinicoli dell’ultima edizione è 95
Rai Convention Centre fra Amsterdam e l’aeroporto
È la fiera più importante del Nord-Ovest d’Europa
La scelta di allestire eventi ad Amsterdam è dettata da diversi motivi.
– Dopo Francoforte, Parigi e Londra, è il 4° centro economico europeo.
– È la città più multiculturale del mondo (177 nazionalità, il 47% della popolazione). Ha 770 mila abitanti (un milione e mezzo la “grande Amsterdam”). L’informatizzazione è altissima. Si parla inglese generalmente dagli 8 anni.
– Hotel: 351 (40 mila posti letto). I soli ristoranti italiani recensiti sono 133 in città, su un totale di 755 di tutte le nazionalità.
– Aeroporto di Schiphol: è collegato con oltre 260 città, traffico annuale di 50 milioni di passeggeri. È uno dei maggiori business hub d’Europa. Da qui si arriva nel centro di Amsterdam in 20 minuti di treno e con € 3,70. In soli 10 minuti – due fermate – alla fiera Rai (vedi sotto) e in diversi alberghi di catene internazionali. Frequentissime le corse.
– Il porto di Rotterdam, per volume di traffico, è il 1° d’Europa e il 3° del mondo (era primo fino al 2004, poi superato da Singapore e Hong Kong).
– Con lo slogan Inspiring People, Rai Convention Centre (rai.nl), 84 mila metri quadrati, è il principale centro congressi del Nord-Ovest europeo. A esso è collegato l’avveniristico Rai Elicium, dove si svolge la World Bulk Wine Exhibition.
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