Prevenire è meglio che curare. Ecco alle allora le nuove possibilità di indagine del microcosmo vino che consentono di individuare precocemente la presenza di contaminanti microbici e intervenire in maniera preventiva
Le tecniche analitiche basate sul Dna permettono oggi di semplificare e velocizzare le procedure di identificazione dei microrganismi nel mosto e nel vino permettendo determinazioni sicure ed affidabili. La possibilità di verificare la presenza di contaminanti anche in minima carica, di osservare l’efficacia dell’inoculo di lieviti e batteri selezionati, di selezionare velocemente ceppi ecotipici sono oggi una possibilità concreta. Nello speciale di tecnica enologia sul Corriere Vinicolo n°24 (18/giugno/2012), Enrico Vaudano del Cra – Centro di ricerca per l’enologia-Asti propone un approfondimento dedicato alle tecniche di base dell’analisi del Dna e alle sue applicazioni in ambito enologico. Ovvero: l’identificazione precoce di Brettanomyces, l’identificazione delle contaminazioni a livello di specie di lieviti e batteri contaminati sia durante il processo di vinificazione sia in presenza di intorbidamento post-imbottigliamento; la rilevazione di batteri produttori di ammine biogene cioè l’inquinamento di vino da parte di batteri con attività enzimatiche particolari, come i Lactobacillus, in grado di avere effetti sulla salute ( forme allergiche, mal di testa, ipotensione); l’analisi di dominanza, nell’ambito della specie Saccharomyces cerevisiae, responsabile della fermentazione alcolica, è possibile la caratterizzazione a livello di ceppo, attraverso la rilevazione dell’ “impronta” genetica; la selezione di lieviti e batteri ecotipici, cioè appartenenti ad un determinato ambiente vigna-cantina che permettono l’attuazione di un progetto di vinificazione improntato sulla “tipicità totale”, che comprenda quindi anche l’aspetto legato al microrganismo utilizzato.
Articolo completo e risultati dello studio sul Corriere Vinicolo n° 24, 18/giugno/2012
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