Tutti li legano all’Italian lifestyle, ma pochi li conoscono davvero: anche la differenza tra i due vini rimane un mistero. E così con il deprezzamento del rublo che spinge verso l’alto le etichette più economiche e un’offerta sempre più ristretta, i consumatori più evoluti si sono allontanati. Causando un calo delle vendite del 15%
Cosa succede all’universo Chianti in Russia? Dopo due anni di crescita a doppia cifra, del 22% tra 2012 e 2013 e +25% tra 2013 e 2014, quest’anno le statistiche sono negative, attorno a -15%. Una forte battuta d’arresto che ha delle motivazioni ben precise, che ci vengono spiegate da importatori, retailer e sommelier locali. Nonostante Chianti sia una di quelle parole che i russi associano quasi automaticamente all’Italian lifestyle, essendo “probabilmente il vino con cui la maggior parte inizia il suo viaggio nel mondo dell’enologia”, dice Alexey Soloviev, head of wine division di Metro Cash & Carry, c’è poca, pochissima conoscenza su cosa sia veramente, tanto che i consumatori finali difficilmente percepiscono la differenza di valore tra un Chianti e un Chianti Classico, e la differenza di prezzo tra i due.
La strategia di giganti come Metro è stata quella di affidarsi a private label per quanto riguarda il Chianti, e altre, come Auchan, Lenta, la stessa Metro e, in alcuni casi, X5 Retail Group, hanno ristretto l’offerta in maniera significativa, allontanando i consumatori più evoluti.
Nell’ultimo anno, quindi, è successo che la debolezza del rublo, che ha spinto anche i Chianti più economici a superare la soglia psicologica dei 1.000 rubli (13 euro circa al cambio attuale), l’impoverimento della popolazione e la contrazione del portafoglio vini nei maggiori retailer, hanno portato alle performance riportate sopra.
Con una difficoltà di reputazione per quanto riguarda il Chianti Classico, che al ristorante si trova a competere con Brunello, Sassicaia e altri vini percepiti di valore superiore in Russia, secondo quanto raccontano i sommelier. “L’immagine di cheap wine che arriva dai Chianti sta danneggiando in maniera grave i vini di qualità – dice Alexander Zubkov, sommelier a Piazza Italiana-. Tempo fa ricordo che Quintarelli tolse dall’etichetta il nome Valpolicella pur di vendere in America: la stessa decisione sarebbe una saggia mossa per i produttori di Chianti Classico qui in Russia”.
Una proposta che potrebbe apparire “indecente”, alla quale risponde il presidente del Consorzio del Chianti Classico, Sergio Zingarelli, intervistato insieme al presidente del Consorzio Chianti, Giovanni Busi, nel testo integrale che trovate nel numero 36 del Corriere Vinicolo. Dove si arriva alla conclusione che, nonostante l’anno difficile, il Chianti rimane un must have nel settore retail e horeca, anche se sarebbe più che mai necessaria una seria revisione di immagine.
L’autore dell’articolo è Anton Moiseenko, che vive e lavora a Mosca. Ha lavorato per oltre dieci anni nel business vitivinicolo, lato import, ed è consulente in comunicazione e columner sul mercato russo per Meininger’s Wine Business International, Harper’s Wine & Spirit e Wine Spectator. Wine Report Russia è il suo blog dedicato, in russo e inglese.
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