Settima destinazione a valore per il nostro vino in bottiglia, ma mercato di cui parliamo davvero poco. Ecco come vede le cose il giornalista e scrittore Jørgen Mønster Pedersen: i danesi amano i vini italiani, ma voi non sapete proprio comunicarli in maniera coordinata
Adriano Del Fabro
Jørgen Mønster Pedersen, è un importante giornalista e scrittore enoico danese, collaboratore di varie testate e autore di una decina di libri sul vino, il cibo e il turismo enogastronomico (tra i quali una Guida su cosa mangiare e bere durante un viaggio nell’Italia del Nord). In un suo recente giro di degustazioni organizzato dal Consorzio delle Doc-Fvg, l’abbiamo incontrato per rivolgergli alcune domande sulla Danimarca del vino e sullo sguardo dei danesi verso il prodotto italiano. DAnimarca che, nonostante le piccole dimensioni, è oggi la settima destinazione dell’export italiano di vino in bottiglia.
Qual è lo stato di salute del mercato danese del vino?
Il vino ha un mercato recente, in Danimarca, cresciuto negli ultimi 50 anni. Il consumo medio pro-capite è abbastanza elevato: circa 30-35 l/anno ed è un consumo non legato all’abbinamento con il cibo del Paese d’origine. Il danese beve vino perché gli piace. Il 70% del mercato è occupato dalle bottiglie prodotte da quattro grandi Paesi: Italia, Francia, Spagna e Cile. I vini italiani e francesi sono più costosi, ma il loro prezzo non viene contestato dai consumatori. Penso che sia soprattutto una questione d’immagine: si compra e si beve vino italiano perché piace l’Italia.
Quali sono i vini italiani che vanno per la maggiore? Ci sono state novità particolari negli anni recenti in termini di denominazioni, vitigni, regioni…?
Il mercato danese apprezza molto i vini rossi e i consumi seguono dei trend, delle mode. Per molti anni, il vino più richiesto è stato il Montepulciano d’Abruzzo, poi è stata la volta del Primitivo, ora piace molto il Ripasso. Le regioni enologiche italiane più conosciute e importanti sono la Puglia, la Toscana, il Piemonte e il Veneto.
Che peso ha, in Danimarca, il consumo delle bollicine?
Per ora è un piccolo mercato che vale poco più del 5%. Nel nostro Paese, c’è il Prosecco, c’è il Cava e ci sono gli spumanti francesi, ma attorno a questi prodotti non c’è, per ora, un grande entusiasmo.
Lei ritiene che la presenza promozionale delle produzioni enoiche italiane in Danimarca sia adeguata?
La percezione è che in Italia, a differenza di altri Paesi, vi sia l’assenza di una politica di marketing coordinata. Tra alcuni giorni, a Copenaghen, ci sarà un evento per la promozione dei vini del Friuli Venezia Giulia a cui seguiranno quelli di altre regioni… Manca la promozione del brand “Italia”. Da questo punto di vista, Australia, Francia, Germania si muovono in maniera coordinata e più efficace. Meglio di tutti, probabilmente, fa l’Austria. Ai produttori austriaci non interessa, a esempio, quale Sauvignon si beve; l’importante è che sia austriaco.
La Danimarca è l’unico Paese nordico senza monopolio sul vino. Questo significa che c’è più varietà di scelta per i consumatori e maggiore libertà di movimento per i produttori?
In Danimarca, i 4-5 principali distributori hanno il controllo del mercato soprattutto quello legato alle grandi aziende vitivinicole. Ma ci sono almeno un centinaio di distributori che sono specializzati nell’importazione di vini italiani, autoctoni, biologici e di nicchia compresi. Dunque, il mercato libero ha i suoi vantaggi, ma porta a una riduzione della scelta per il consumatore poiché, importatori e distributori, tendono a proporre solo i vini che vendono di più in quel momento.
Diversamente, nei Paesi dove c’è un regime di mercato centrato sul monopolio, e penso principalmente alla Norvegia, l’importatore sente e applica la responsabilità di distribuire una gamma vasta e variegata di prodotti, offrendo un servizio migliore ai consumatori.
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