Una performance che incorpora il buon andamento delle vendite sia all’estero, dove il giro d’affari è cresciuto a un ritmo particolarmente sostenuto (+7,7%), sia sul mercato interno, dove il settore ha messo a segno un più modesto progresso, stimato nell’1,8%.
di Paolo Ferrante
Una crescita robusta, quantificata da Mediobanca in un più 4,8% rispetto al 2012. E’ il dato di pre-consuntivo sul fatturato 2013 delle principali società italiane operanti nel settore vitivinicolo (111 in tutto), elaborato dal Centro studi della merchant bank nella consueta indagine annuale, pubblicata nei giorni scorsi.
Una performance che incorpora il buon andamento delle vendite sia all’estero, dove il giro d’affari è cresciuto a un ritmo particolarmente sostenuto (+7,7%), sia sul mercato interno, dove il settore ha messo a segno un più modesto progresso, stimato nell’1,8%.
Si tratta, nel suo complesso, di un risultato più che soddisfacente, considerando che per l’insieme delle industrie alimentari il fatturato è cresciuto l’anno scorso solo di un frazionale +0,3% e che l’intera manifattura italiana ha sperimentato, in controtendenza, una riduzione dello 0,3%.
Analizzate nella serie storica le vendite del 2013 si collocano su un livello superiore del 24,1% a quello del 2008. Risultato anche questo riconducibile all’effetto combinato di un incremento del 40,4% all’estero e di un 10,7% di crescita rilevata sul mercato domestico.
Tolta la parentesi negativa del 2009, nel pieno della crisi economico-finanziaria globale, il comparto ha mostrato una costante vitalità, confermata da una progressiva espansione del fatturato.
Qualche ombra continua però ad allungarsi sul settore se si guarda ad altre variabili. Gli investimenti tecnici, ad esempio, hanno subito, nel 2013, una contrazione di oltre il 24% (complice il credit crunch), dopo il minirimbalzo del 2012 (+5,6%) e la flessione del 25,8% archiviata nel 2011.
In graduale ripresa solo gli investimenti pubblicitari, cresciuti dell’1,5% rispetto al 2012, anche se in ambito nazionale l’advertising ha fatto segnare una flessione del 12,3%.
Piuttosto modesto anche il dato occupazionale, con la dinamica del lavoro che segna un meno 0,5% negli ultimi dodici mesi. Va tuttavia rilevato che nel precedente quinquennio (tra il 2008 e il 2012) il numero dei dipendenti nel settore era cresciuto del 2,7%. Un dato che contrasta di netto con il calo occupazionale registrato nelle aziende del beverage (-5,2%) e con gli sviluppi negativi (-6%) dell’industria manifatturiera italiana analizzata nel suo complesso.
In prospettiva, dal quadro tratteggiato dal Centro studi di Mediobanca, emerge un cauto ottimismo. A giudizio della stragrande maggioranza degli operatori intervistati nel marzo scorso (il 92% del totale, quota massima dal 2008, contro il 75,5% del 2013) le vendite non dovrebbero subire quest’anno un’inversione di tendenza.
Gli ottimisti, rappresentati da chi si attende una crescita superiore al 10%, si riducono però a un esiguo 8,1%, contro il 26,8% del 2013 e il 39,7% del 2012, una percentuale molto vicina a quella “di crisi” del 2009.
Va anche detto che solo il 4,8% degli intervistati ha palesato aspettative marcatamente ribassiste per il 2014, contro il 10,1% del 2013.
Quello che emerge, in sintesi, è un addensamento di operatori attorno a previsioni positive, anche se non esaltanti, con l’83,9% degli intervistati che prevede per quest’anno un’evoluzione delle vendite, seppure a tassi inferiori al 10%.
Alcune interessanti evidenze
In relazione a specifici aspetti delle gestione, le interviste alle società del settore hanno messo in luce alcune interessanti evidenze.
Innanzitutto il valore dei marchi: tra il 1996 e il 2014 – spiega lo studio – si è registrato un aumento di quasi 3.400 etichette (+113,6%), il cui numero medio per azienda ha ormai superato le 130 unità.
L’attuale stock di etichette assegna ai vini comuni una partecipazione inferiore rispetto al passato, scesa al 10%, contro il 14,3% del 1996. Un fenomeno correlato a un processo di ricomposizione soprattutto a vantaggio delle produzioni più qualificate (grandi vini e denominazioni d’origine), la cui incidenza è passata dal 44,2% del 1996 al 53,1% del 2014.
In relazione ai canali distributivi, l’indagine Mediobanca segnala sul circuito domestico un ulteriore rafforzamento della grande distribuzione. Basandosi su un campione di aziende omogeneo, l’incidenza della Gdo dal 2002 ad oggi è cresciuta di 14 punti percentuali, portandosi al 42,2% del 2013. Il fuori casa resta il secondo canale più gettonato: all’aggregato Horeca (hotel, ristoranti e catering) è attribuita una quota del 18,6%, che sale al 41,8% per i grandi vini (prodotti venduti a un prezzo medio al consumo di oltre 25 euro la bottiglia), ambito in cui la Gdo scende al 2,9%. Enoteche e wine bar coprono un altro 8,6% del fatturato (28,7% per il top di gamma), mentre la vendita diretta incide per poco più dell’8%. Rilevante anche il peso relativo del trade (grossisti e intermediari) che veicola un 16,3% delle vendite di vini, mentre ai restanti canali l’indagine attribuisce un residuo 5,9% di quota.
Oltre confine gli intermediari/importatori, con l’83,1% di incidenza, restano la figura più utilizzata dalle aziende per operare sui mercati esteri. Le reti proprie distributive rappresentano un fenomeno ancora limitato a poche imprese, con l’8,8% di partecipazione, seguite dagli altri canali all’8,1% di quota.
Scommettere sui vini si è rivelato intanto un ottimo affare per chi, tra gli investitori internazionali, ha saputo scegliere nel mix di paesi e prodotti.
L’indice Mediobanca delle società vinicole, composto da 51 titoli rappresentativi di 46 emittenti quotati nelle principali Borse mondiali, ha raggiunto a fine 2013 un nuovo massimo, facendo segnare da gennaio 2011 un aumento del 225,7% (proseguito nel primo trimestre 2014), ben più elevato rispetto al più modesto 61,8% di crescita registrato dalle Borse globali.
Le migliori performance, nel paniere enologico, si riscontrano per i gruppi del Nord America (+730%) e per le aziende francesi e cilene (+140% ciascuna). Bene anche le corporate australiane e spagnole (+100%), mentre le società cinesi, che fino al 2011 registravano i maggiori progressi (+182% dal 2001), hanno subito un calo del 33,6% nel 2012 e del 36,6% l’anno successivo, riducendo all’11% la crescita da inizio periodo.
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