La crisi spegne i consumi e accende i tassi di rischio delle imprese della distribuzione e del commercio. Il cui malessere risale la corrente e arriva a colpire le aziende vinicole. Che in tre anni vedono alzarsi di 3 punti percentuali la quota di quelle con probabilità di generare insoluti commerciali
A guardare i numeri, nella loro crudezza, si ha l’impressione di trovarsi in un gioco del domino al contrario: si parte a valle, con la crisi economica che sta mordendo i consumi e la capacità di acquisto degli italiani vittima di un processo corrosivo che pare inarrestabile, per risalire pian piano a monte. Il fenomeno di riduzione dei consumi incide pesantemente sul settore distributivo e su quello commerciale, che si tratti di spesa al supermercato o di consumo al ristorante: aumentano quindi da una parte gli indici di rischiosità di queste imprese, la cui spia iniziale è il ritardo nei pagamenti, divenuto ormai prassi per oltre la metà di questi esercizi, ma che si sostanzia – nei casi più gravi e reiterati – nell’insolvenza totale. A cascata, e a livello retroattivo, si arriva a monte, dove il settore bevande, e in esso quello vitivinicolo, si ritrova di colpo aumentato il proprio rischio di generare insoluti commerciali, passato nel giro di tre anni – quelli della crisi appunto – a tassi che superano abbondantemente la media italiana.
E’ questa la fotografia fatta dalla società specializzata Cribis D&B, che per il settore beverage, e vino in particolare, individua nel 14% le imprese con indice di rischiosità alta, contro l’11% scarso della media italiana e in linea con l’aggregato industria alimentare. Tre anni fa, però, all’accennarsi della crisi economica, il tasso di imprese a rischio insolvenza commerciale era poco sopra l’8%: da lì in avanti, si è guadagnato un punto percentuale l’anno, mentre è andata diminuendo di pari passo la quota di imprese considerate solide dal punto di vista del rischio, diminuite dal 22% del 2008 all’8,5% dell’anno appena terminato. Un ritmo di marcia quantificabile in 13 punti percentuali, contro una media italiana di 4, che resta comunque ancora più alta del settore vino, con solo il 6% di imprese a rischiosità contenuta. Specularmente, si è ridotta anche la quota di aziende vinicole con indice di rischiosità medio-basso, passate dalla metà del campione preso in esame nel 2008 al 35% odierno, mentre è aumentato di pari passo il numero di imprese con indice medio, dal 19% al 42%.
Insomma, il settore vino mostra tutti i sintomi dell’affanno, esponendosi non solo alla non poco rassicurante prospettiva del fallimento, ma anche a tutta una serie di indicatori poco edificanti nel rapporto con i soggetti deputati al finanziamento del credito, come le banche, che già restie a elargire denaro, trovano un’ulteriore motivazione a restringere i cordoni della borsa.
Sul Corriere Vinicolo n. 20 la disamina completa del rapporto Cribis D&B relativo al settore vino, commercio al dettaglio, ristorazione e Gdo e i dati di nati-mortalità del settore ristoranti e bar in Italia
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