Lo chef executive del ristorante Asola | Cucina sartoriale: dobbiamo nutrirci con quello che la terra è in grado di dare in ogni periodo dell’anno. La cucina italiana? Vive ancora di stereotipi
di Fabiano Guatteri
Matteo Torretta è lo chef executive del ristorante Asola | Cucina sartoriale, al nono piano del Brian&Barry Building di Piazza San Babila a Milano. Precedentemente ha lavorato con numerosi cuochi molto reputati quali Marchesi, Perbellini, Cracco. E’ conosciuto per essere stato lo chef che ha “ringiovanito” la cucina del Savini.
Può dare una definizione della sua cucina?
Riconoscibile e soprattutto stagionale.
Il tema dell’Expo “nutrire il pianeta” ha visto una risposta da parte dei cuochi che hanno preso iniziative sia all’interno della struttura fieristica aderendo a varie iniziative quali Identità Expo, Eataly… sia fuori fiera con iniziative a esso ispirate. Ritiene che la ristorazione abbia da dire e da dare in merito alla tematica che anima Expo?
Sì, ognuno di noi chef deve portare avanti questo messaggio, esserne ambasciatore per primo. La cosa importante che dobbiamo imparare da Expo è il rispetto della stagionalità e lavorare per diminuire gli sprechi. Dobbiamo nutrirci con quello che la terra è in grado di dare in ogni periodo dell’anno. Io trovo assurdo che a dicembre si vogliano mangiare le fragole e ci si sorprenda del loro costo e del fatto che non siano buone. Dobbiamo combattere questo tipo di atteggiamento alimentare, ritrovare le origini in cui l’uomo era in sinergia con la terra.
In che modo ha partecipato all’Expo, qual è il suo contributo all’evento?
Ho deciso di lavorare con tre chef giapponesi per un evento che parlerà dell’armonia del cibo (e che si terrà da Asola il 9 e 10 luglio). Creeremo una bella sinergia, sperimenteremo e faremo un’esperienza gastro-culturale. Expo è una manifestazione che incita all’apertura verso le altre culture. Il mio sarà un interscambio di cibo.
Ha dedicato un piatto a Expo?
Sì, il Minestrone per Expo. Il minestrone è un piatto storico italiano, normalmente si mangia in inverno. Il mio obiettivo è stato renderlo un piatto estivo, e in piena atmosfera Expo ho deciso di farlo con ingredienti a km zero da coltivazioni biologiche.
Ci sono in questo momento dei fermenti o dei sintomi che possono far presagire come sarà la cucina del prossimo futuro?
A mio parere la cucina del futuro sarà una cucina estremamente globalizzata. Fra non molto tempo le cucine diventeranno sempre più fusion l’una con l’altra fino a diventare un’unica grande cucina mondiale.
Il vino è una componente importante, un accompagnamento che può esaltare un piatto e completarlo. Per me però la carta dei cibi resta sempre la cosa più importante.
Negli ultimi decenni, nell’ambito enologico abbiamo visto cambiare i gusti: dai vini internazionali si è tornati quelli da uve autoctone e vitigni un tempo considerati minori sono stati rivalutati (dall’inzolia al pecorino). Si sono inoltre affermati i vini biologici e stanno prendendo piede anche quelli senza solfiti per non dire dei vegani. Si può ipotizzare come sarà il vino nel prossimo futuro?
Questa purtroppo è una domanda a cui non so rispondere. Ma sono molto curioso di vedere come si evolverà la questione del vino.
Qual è il ruolo oggi della cucina italiana all’estero? Fa ancora da traino o vi è bisogno che il vino italiano si contamini con le gastronomie locali?
Mi pare che purtroppo la cucina italiana sia spesso legata a degli stereotipi sbagliati come quello della pizza e degli spaghetti. La nostra cucina non è ancora del tutto conosciuta nel mondo. Dovremmo continuare a mantenere la nostra identità, per farci conoscere meglio, sia per quanto riguarda la cucina, sia per quanto riguarda il vino. Dobbiamo cominciare a cucinare davvero all’italiana, smettere di adattare la nostra cucina ai gusti altrui, altrimenti ne daremo sempre un’immagine sbagliata. Dobbiamo essere fieri della nostra cultura gastronomica.
Foto ©Matteo Valle
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