La definizione di birrificio artigianale è stata riscritta per sostenere l’innovazione in un settore già fortemente cresciuto nell’ultimo decennio e per non escludere chi produce anche vino e sidro
La Brewers Association (BA), associazione di categoria statunitense che riunisce più di settemila tra produttori e operatori del mercato della birra, ha aggiornato la tradizionale definizione di birrificio artigianale, ritenuta ormai fuori dal tempo. La decisione del consiglio di amministrazione del sodalizio è stata resa pubblica a metà dicembre dalla stessa BA (si veda qui), e verte nello specifico proprio sulla cancellazione del requisito di prodotto “tradizionale”.
Nella precedente definizione un birrificio poteva definirsi artigianale solo se: piccolo (produzione massima di 6 milioni di barili), indipendente (meno del 25% della sua proprietà può essere detenuta da una società del mondo degli alcolici che non sia esclusivamente un produttore di birra artigianale) e tradizionale, che avesse cioè la maggior parte del suo volume di produzione in birre i cui sapori derivassero da ingredienti tradizionali o innovativi e della loro fermentazione, escludendo poi le bevande aromatizzate al malto, che non devono essere considerate birre (Traditional: A brewer that has a majority of its total beverage alcohol volume in beers whose flavor derives from traditional or innovative brewing ingredients and their fermentation. Flavored malt beverages (FMBs) are not considered beers).
Per dirla in modo più semplice, queste attività dovevano prima produrre prevalentemente birra. Questo terzo punto, già stato oggetto di revisione nel 2014, è stato riaggiornato nel più semplice requisito di avere una licenza di produzione (Brewer’s Notice) rilasciata dall’Alcohol and Tobacco Tax and Trade Bureau (TTB) e di produrre birra, senza che questa debba essere l’attività aziendale maggioritaria.
Alla base della scelta, la volontà di consentire ai produttori di trovare nuove fonti di reddito e nel contempo di garantire loro una maggior libertà d’innovazione, all’interno di un settore già fortemente cresciuto negli ultimi dieci anni. A questo proposito si tenga presente che nel 2017 venne vietato a circa 60 birrifici di definirsi artigianali proprio perché più del 50% della loro produzione era costituita da prodotti diversi dalla birra (si trattava soprattutto di vino, sidro o idromele). Il numero delle esclusioni sarebbe certamente cresciuto nel tempo se no si fosse ridefinito il concetto di birrificio artigianale; un sondaggio, lanciato lo scorso ottobre dalla stessa BA, aveva, infatti, raccolto la volontà di diversi operatori ad ampliare la gamma dei loro prodotti, prendendo in considerazione anche la possibilità, se e quando la legge lo consentirà, di produrre alle birre addizionate con i principi attivi della cannabis (CBD e CHT).
FEB
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